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Per esserci, c’è. La sensazione però, con rare eccezioni, è quella di una consuetudine, di “una ritualità” per dirla con Luca Bianchi, direttore generale della Svimez. Non è un caso che i programmi elettorali dei partiti non presentano differenze sostanziali quando parlano di Mezzogiorno. Come, cioè, se nemmeno il Pnrr fosse riuscito a garantire a questa parte del Paese la centralità che le spetta persino di diritto non solo perché senza la riduzione del divario nessuna ripresa potrà mai essere possibile ma anche perché è la condizione arretrata del Mezzogiorno ad aver convinto Bruxelles a destinare all’Italia la maggiore quantità di risorse del Next Generation Eu.
A leggere invece i testi dei singoli schieramenti si rafforza la convinzione di un’occasione in gran parte sciupata, per tatticismi da consenso forse, ampiamente prevedibili (ma non per questo meno deludenti). Il Sud rimane in gran parte quello di sempre, “abbandonato a se stesso” scrive Marco Damilano. Al punto che l’unica, evidente divergenza di valutazioni riguarda l’annosa e finora irrisolta questione del Ponte sullo Stretto di Messina. Qui, effettivamente, i programmi elettorali non corrono il rischio di potersi sovrapporre: il centrodestra annuncia che lo farà, sia nel documento di coalizione sia in quelli “aggiuntivi” di Lega e Forza Italia, mentre il centrosinistra e il Terzo Polo preferiscono non pronunciarsi e il Movimento 5 Stelle rimane alla fine contrario dopo alcune aperture nella legislatura che volge al termine. Ma anche questa, se vogliamo, non è una novità: una contrapposizione analoga era emersa anche nei diciotto mesi del governo Draghi, alimentata peraltro dalla decisione del ministro per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, di riavviare l’iter del nuovo progetto pur avendo deciso a priori che non sarebbe entrato nelle opere prioritarie (e del Pnrr).
Per il resto l’agenda degli impegni annunciati dai partiti in chiave Mezzogiorno richiama, con accenti spesso prevedibili e un occhio rivolto sempre alle convenienze elettorali, i temi più attuali a proposito della riduzione del divario.
Se si guarda invece a dove è collocato il Mezzogiorno nei programmi elettorali, ammesso che questo possa essere un indicatore dell’importanza riconosciuta all’argomento, balza agli occhi che per il Terzo Polo il Sud è ai primissimi posti del testo definito da Renzi e Calenda, sulla scia del positivo lavoro condotto nei diciotto mesi di governo dal ministro uscente del Sud Mara Carfagna. Anche il Pd dedica al Sud non pochi spunti, come il richiamo all’Agenda Sud 2030 lanciata dall’allora ministro Peppe Provenzano (non a caso responsabile, in qualità di vicesegretario del partito, della stesura del programma Dem). La Lega affronta il Mezzogiorno con un apposito capitolo a pagina 132 del suo programma che di pagine in totale ne conta 202 mentre il testo concordato dalla coalizione di centrodestra vi dedica un breve passaggio in uno dei 15 punti riassuntivi del suo programma.
Naturalmente non sono solo le cosiddette specificità del Mezzogiorno a permettere una valutazione delle proposte e degli annunci elettorali. Se si allarga lo scenario a temi abbondantemente divisivi, come il Reddito di cittadinanza, i cui percettori sono in larga maggioranza concentrati nelle regioni meridionali, le distanze tra i partiti diventano abissali, con il centrodestra e il Terzo Polo schierati per l’eliminazione della misura, il Pd cauto nel voler ripartire dalle proposte della Commissione Saraceno insediata dal ministro del Lavoro Orlando, e i 5 Stelle dichiaratamente sulle barricate per difendere uno dei simboli del loro ultimo quinquennio parlamentare e di governo. Quasi inutile aggiungere che su questo fronte il voto del Sud potrebbe diventare più significativo di quanto molti erano disposti a scommettere qualche mese fa.
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