Non è valso a nulla alzare i toni nelle ultime settimane della campagna elettorale contro il suo avversario. Stefano Caldoro perde, ma non immaginava che la sconfitta...
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Scrutinio 2020
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Alla fine Caldoro ha dovuto cambiare anche il piano studiato per contestare la sconfitta. Aveva scritto nelle scorse settimane una lettera al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, per denunciare che la gestione dell'emergenza non poteva spettare a chi è pure candidato. Venerdì scorso, alla chiusura dei comizi, l'ex governatore aveva pure denunciato che le persone avrebbero avuto paura di votare per evitare il rischio di contagi. L'obiettivo era delegittimare la vittoria di De Luca anche sul piano formale e sulle regole del gioco, ma man mano che arrivavano i numeri e i risultati al quartier generale allestito nei suoi uffici al Centro Direzionale, Caldoro ha dovuto cambiare narrazione: troppo grande la distanza per ritenerla frutto di un inganno. «C'è stata comunque una valanga di consensi - ha spiegato - verso i presidenti che hanno gestito l'emergenza Covid come De Luca ed Emiliano. Un mix che ha creato un effetto-sicurezza e di presenzialismo». A sera, in collegamento sul La7 con Enrico Mentana e la sua maratona, ha dato vita pure a un simpatico siparietto. «È come in guerra ha detto e quando c'è la guerra le persone dimenticano tutto ciò che è successo prima e aspettano solo la fine del conflitto. Prima del Covid De Luca era sotto di 10 punti». Tanto da indurre Mentana a ricordare il Gastone di Alberto Sordi, quando il suo personaggio adduceva i suoi mancati successi al tormentone: «A me m'ha rovinato la guerra».
«In Campania - ha spiegato Caldoro - De Luca ha messo in moto una macchina da guerra con 15 liste che hanno superato il 65%, ma sono liste costruite e organizzate sul momento che non hanno storia». Non adduce scuse, ma di certo il candidato del centrodestra apre una riflessione sulla debacle generalizzata della coalizione. «Il risultato si accetta - ha detto - e vede in maniera eloquente il centrodestra in difficoltà, ogni partito con un livellamento verso il basso». Respinge le accuse che pure cominciano ad affiorare tra i malumori dei partiti che sostenevano la sua coalizione. «Il mio risultato - ha spiegato analizzando la sconfitta - è sullo stesso livello di consenso delle mie liste». Lo dice in maniera pacata, con garbo, ma già conscio delle bordate che pioveranno già da oggi da parte di chi, sin da quando fu individuata la sua candidatura alla guida della coalizione, riteneva la sua figura non adatta alla sfida contro De Luca. Come a dire che, alla fine dei conti, se è pur vero che il candidato non ha sfondato non hanno fatto incetta di voti neppure i partiti che lo sostenevano: si è tutti sulla stessa barca.
Il rapporto personale con De Luca resta pessimo anche dopo la campagna elettorale. Caldoro infatti non ha telefonato all'avversario per complimentarsi della vittoria come solitamente è in uso tra sfidanti alla fine della competizione. Anche nel 2015 la telefonata canonica non ci fu, segnale di una divisione non solo politica, ma pure umana. Del resto nelle scorse settimane Caldoro aveva definito De Luca «cialtrone», «coniglio», «juventino». Non è servito a nulla neppure buttarla sul calcio e lo scontro ad alzo zero con il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis. Del resto ha riconosciuto l'ex governatore recuperando il suo stile istituzionale: «Quando gli elettori decidono non bisogna mettere in discussione il risultato». Il problema è che ora in molti soprattutto nel centrodestra - metteranno in discussione il suo risultato, ma ormai vale a poco per chi per altri cinque anni dovrà rappresentare sì le istituzioni, ma dai banchi dell'opposizione. Eppure, pur di giocarsi questa partita, Caldoro aveva rinunciato negli anni scorsi a candidarsi alle Politiche e poi alle Europee. Forse, con il senno di poi, avrebbe fatto meglio ad accettare: ma con i se e i ma di certo non si fa la storia. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino