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Una figura che resta sullo sfondo, quella del magnate svizzero. Viene evocato nel corso di alcune conversazioni intercettate tra i complici del furto, ma finisce anche per essere citato nel corso di una delle trattative condotte per smerciare un’opera d’arte trafugata da una basilica napoletana. «È lui - dicono a proposito del magnate svizzero - che si è fatto vivo e che è disposto a investire fino a 30 milioni di euro».
Parliamo del furto del Salvator Mundi, il dipinto di scuola leonardiana, probabilmente risalente a un periodo compreso tra il Cinquecento e il Seicento, che venne trafugato in pieno lockdown da una sala della basilica di San Domenico Maggiore. Un furto risolto grazie a una brillante operazione della polizia, che è riuscita a recuperare il dipinto, ma anche a circoscrivere le responsabilità individuali dei soggetti condannati in primo grado.
A fare da basista, secondo i giudici, è stato Pasquale Ferrigno, che incassa 5 anni e 4 mesi: era dipendente del museo, aveva accesso alla sala del Tesoro della Basilica, grazie a una chiave passpartout; 5 anni e 4 mesi anche per Tommaso Boscaglia è invece il soggetto che ha materialmente asportato il prezioso dipinto della Sala del Tesoro della Basilica di San Domenico Maggiore.
Cinque anni e 4 mesi ance per Marco Fusaro, che avrebbe svolto un ruolo attivo, rimanendo collegato a Ferrigno e Boscaglia nella realizzazione del piano: «L’ha preso lui fisicamente e l’ha dato a noi...», dice in una intercettazione. Antonio Mauro incassa invece 4 anni e 4 mesi, per aver svolto un ruolo in materia di ricettazione. È lui ad essersi messo all’opera per contattare Maria Licciardi e proporre l’affare «del secolo», legato proprio alla compravendita del dipinto rubato, che - nelle more - era stato trasportato in sella a uno scooter e condotto in un quartiere di Napoli est. Stando ai giudici, Maria Licciardi non avrebbe avuto alcuna responsabilità in tutta l’operazione, essendosi limitata a ricevere passivamente una richiesta (quella dell’acquisto del quadro) mai presa in considerazione seriamente. Cinque anni e sei mesi per Domenico De Rosa, che avrebbe svolto un ruolo di intermediario tra i principali responsabili del furto e della ricettazione: dava informazioni, come se fosse stato un anello di congiunzione per la collocazione dell’opera.
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