San Martino, il ritorno dei pastori deformi

San Martino, il ritorno dei pastori deformi
Dello sfondo di cartapesta faranno parte anche il tubercolotico e la donna mostro, il gobbo e la nanetta, lo storpio con le gambe in cancrena e la donna affetta da gotta, ma anche...

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Dello sfondo di cartapesta faranno parte anche il tubercolotico e la donna mostro, il gobbo e la nanetta, lo storpio con le gambe in cancrena e la donna affetta da gotta, ma anche il villico dalle gote rubizze. Sono i pastori, tutti in legno ma qualcuno anche già con il manichino di ferro e stoppa, che hanno arricchito la sezione presepiale di san Martino: alcuni non erano mai stati esposti, altri sono stati restaurati e riportati al loro antico splendore, o meglio alla loro originaria suggestione. Parliamo del gruppo dei cosiddetti deformi, che mancavano dal museo dal 1980, e risalgono al Settecento o ai primi dell'Ottocento: sono una dozzina e provengono dalla collezione Carrara, famiglia aristocratica salernitana.


Una collezione particolare, grazie alla quale è possibile immaginare una Napoli diversa da quella spesso tramandataci. Qui non ci sono angeli né Gesù Bambino, ma contadini, popolani, individui deformi. «Un approccio innovativo, per certi versi provocatorio, alla rappresentazione della natività, che merita una vetrina a sé stante», spiega Ileana Creazzo, curatrice della sezione presepiale. Se il presepe nasce per sceneggiare uno dei momenti più solenni del cristianesimo, la scelta di privilegiare l'abietto, il malato, il reietto sorprende. «Nel reinserire questi pastori nella sezione siamo stati attenti a non spiazzare il visitatore, che potrebbe avere una reazione di straniamento. Ma la loro bellezza sta proprio in questa diversità, nelle fattezze all'epoca diffuse anche se non scontate, rispetto a quelli che oggi i turisti e gli stessi napoletani vanno cercando in un presepe».

I malesseri fisici, le mostruosità, erano molto più diffuse nei secoli scorsi che oggi: se si chiedeva a un artigiano di trarre ispirazione dal popolo per costruire dei pastori, era logico aspettarsi risultati del genere, a meno di non procedere a un ingentilimento forzato. Nella nuova teca ci sono anche alcuni pastori più antichi, della fine del Seicento, che non hanno mai lasciato i magazzini in cui erano conservati, esposti per la prima volta. Sono cinque, tre donne del popolo vestite a festa con grembiulino e camiciola, un ragazzo che probabilmente faceva parte del corteo diretto alla grotta, e un uomo. Sono più grandi del normale, e hanno avuto una storia singolare. Stavano per essere portati all'estero negli anni Trenta, ma l'Ufficio esportazione ne proibì l'uscita dal territorio. Rimasero per alcuni anni nei sotterranei del museo nazionale, finché Libero Bovio, uno dei grandi poeti della canzone napoletana, non si diede da fare per farli arrivare a San Martino, e qui sono rimasti, esclusi dalla vista di chiunque, fino ad oggi.

 


Anche questi pastori hanno fattezze diverse da quelle consuete. Vesti di tela grezza, mani e piedi molto grandi. Anche loro escono fuori dai parametri del classico protagonista del presepio napoletano che, «di solito vuole stimolare la partecipazione affettiva, anche per la leggiadria della posa, la struttura fisica lunga e affusolata, il collo lungo, lo sguardo appassionato, i capelli mossi». Insomma, negli uomini e nelle donne dei presepi, di norma, ogni elemento tende a scatenare una partecipazione emotiva positiva, invece queste figure risultano più massicce, più realiste, meno disposte a cedere ai gusti e alla richiesta del pubblico. «È un regalo diverso dal solito che vogliamo fare ai napoletani e ai tanti turisti che vengono qui apposta per il presepe» dice la direttrice di San Martino, Rita Pastorelli.
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Il Mattino