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«È stata la mano di Dio». Suor Rosa Lupoli, ischitana doc, abbadessa nel monastero delle Clarisse cappuccine, spiccate doti di spiritualità e misticismo, non ha dubbi: «Ci ha pensato il mio capo. Due più due fa quattro. È chiaro che c'è stato un intervento dall'alto». È in clausura da oltre vent'anni nel monastero delle Trentatrè, la dolce suor Rosa, ma crede profondamente nel rapporto con l'esterno e segue con attenzione tutto quello che accade intorno a lei. A cominciare dai successi strepitosi della sua squadra del cuore. Tifosa più che sfegatata, capace di appassionarsi peggio di un ultrà, l'abbadessa è la stessa che nel giorno della morte di Maradona - oltre a decine e decine di preghiere recitate in suo nome insieme alle consorelle - ha lasciato sventolare la bandiera del Napoli sui tetti del convento di via Pisanelli, «omaggio - scrisse su Twitter - a un fenomeno irreplicabile».
E se ne va la capolista se ne va...
«Gioia senza fine».
Ha già pensato ai festeggiamenti?
«Siamo ancora in fase di organizzazione con le sorelle della chiesa di Regina Coeli, a due passi da qui. Nel 90 contribuirono a colorare di azzurro tutta la strada. Faremo lo stesso anche stavolta».
Il tempo stringe.
«Infatti, siamo già in ritardo. Aspettiamo di capire commercianti e residenti come intendono muoversi e ci aggreghiamo».
L'idea di andare allo stadio per la partita della vittoria non l'è mai venuta in mente?
«Mi piacerebbe e non vi nascondo che ricevo regolarmente un invito per lo stadio ma non mi fido di me».
In che senso?
«Quando esulto perdo il controllo e allora meglio perderlo in monastero.
Fa sul serio quando parla di intervento dall'alto?
«Corrispondenza dal basso e mano dall'alto. Noi abbiamo chiesto e lui ha dato. Certo che faccio sul serio».
Ma è proprio sicura?
«Parlano i fatti. In altre occasioni squadre meglio organizzate, e più forti almeno in partenza, non ce l'hanno fatta. Quest'anno invece giocatori giovanissimi, inevitabilmente meno esperti, hanno portato a casa risultati incredibili. Secondo voi l'intervento dall'alto c'è stato o no?»
Parliamo dell'allenatore.
«Mi è piaciuta molto una sua frase recente. Ragionava sulla squadra quando ha detto non sono tutti amici però c'è rispetto e sanno stare insieme. Ho apprezzato la visione realistica che ha dei ragazzi dimostrando sul campo di saperli gestire bene. E dire che all'inizio non mi aveva affatto convinta».
Spalletti? E perché?
«Lo ammetto: quando lo hanno ingaggiato per allenare il Napoli ho pensato "un altro che non sorride come Sarri"».
Invece poi si è ricreduta.
«Quasi subito. Non solo ha cominciato a sorridere ma si è rivelato un grandissimo tecnico. Sa tenere insieme le diversità riuscendo a valorizzarle nel migliore dei modi, operazione per niente facile. E poi ha capito una cosa fondamentale».
Che cosa ha capito?
«L'importanza della città. Quando vince non vince solo pensando a se stesso o ai suoi giocatori. No, lui vince anche per Napoli, per i napoletani. La squadra qui è tutt'uno con il territorio e Spalletti lo ha colto subito. Milano, Torino, Roma, hanno due squadre, due tifoserie, Napoli no, è compatta: tutti per uno».
Ha visto che cosa è successo mercoledì prima della partita?
«Disastro assoluto, immagini agghiaccianti. Gli elicotteri della polizia hanno girato sulla nostra testa per tre ore senza mai fermarsi. Quello è stato il segnale che stava accadendo qualcosa di molto grave. Il mio pensiero è andato subito alle sorelle di Santa Chiara».
Piazza del Gesù è stata presa d'assalto.
«Loro sono proprio lì. Chissà che spavento. Meno male che il monastero è ben protetto».
A proposito di sorelle: la partita la guardate tutte insieme?
«Funziona così: io la ascolto alla radio e poi racconto. In realtà gli orari sono un po' complicati per noi. Quando si gioca alle 18 siamo in preghiera e alle 21 è già tardi».
Si dorme?
«Siamo in camera ma se il Napoli è in campo tutte sveglie fino al fischio finale. Ordine dell'abbadessa». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino