Spari in carcere, era una resa dei conti: nei guai tre ras della camorra

Spari in carcere, era una resa dei conti: nei guai tre ras della camorra
È il traffico di droga lo scenario che farebbe da sfondo alla clamorosa sparatoria avvenuta qualche settimana fa nel carcere di Frosinone. È quanto sarebbe emerso...

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È il traffico di droga lo scenario che farebbe da sfondo alla clamorosa sparatoria avvenuta qualche settimana fa nel carcere di Frosinone. È quanto sarebbe emerso dalle indagini, chiuse ieri mattina, su un episodio strettamente collegato alla vicenda, il pestaggio di Alessio Peluso, il 28enne di Miano che, qualche giorno più tardi, decise di vendicarsi dei suoi aggressori, esplodendo colpi d'arma da fuoco all'interno delle loro celle. L'episodio risalirebbe al 16 settembre scorso quando Peluso, secondo la ricostruzione degli investigatori, fu bloccato all'interno di una cella e violentemente picchiato per oltre due minuti. Un raid organizzato nei minimi dettagli perché la squadretta, composta da tre napoletani e due albanesi, approfittò dell'ora di libera circolazione dei detenuti.

Tra gli aggressori del ras mianese ci sono due nomi di peso per i loro legami con alcuni clan della periferia nord e per il loro coinvolgimento in vicende di droga. Il primo è Marco Corona, un tempo affiliato alla cosca Lo Russo e finito in manette alcuni anni fa con diverse accuse sul groppone tra cui quella di aver partecipato all'omicidio di Pasquale Izzi. Il secondo è Marittiello o ciuraro, al secolo Mario Avolio, narcos al servizio dei Di Lauro, prima, e degli Amato-Pagano poi e arrestato nel 2017. Il terzo, infine, è Genny Esposito, figlio Luigi, ras di Secondigliano noto come Giggino Nacchella, anche lui condannato per droga, ritenuto a capo di un'organizzazione che gestiva lo spaccio di stupefacenti nel quartiere romano di San Basilio.



Tre pezzi grossi del narcotraffico, quindi, e questo ha fatto nascere il sospetto che Peluso possa aver commesso qualche sgarro. Quello, però, che i suoi aggressori non avevano messo in conto era il desiderio di vendetta da parte del ras mianese. Desiderio che tentò di soddisfare qualche giorno più tardi quando, con una pistola semiautomatica, introdotta forse con un drone, prima prese in ostaggio un agente e, poi, tentò di colpire alcuni dei suoi aggressori, sparando all'interno delle loro celle.
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Il Mattino