«Una volta Vincenzo Russo si mise a disposizione di Raffaele Amato jr che temeva di essere arrestato di nuovo e grazie alla conoscenza di qualche medico di fiducia si...
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Aula 320, Palazzo di Giustizia. L’udienza è quella del processo che si celebra dinanzi ai giudici della Corte d’assise d’appello (presidente Domenico Zeuli) per far luce sull’omicidio di Gianluca Cimminiello, il tatuatore di Casavatore ucciso il 2 febbraio 2010. Vincenzo Russo, ritenuto legato al gruppo Abete-Abbinante-Notturno-Aprea, è imputato con l’accusa di essere l’esecutore del delitto. Il processo è il secondo in appello dopo la decisione della Cassazione di ripetere il secondo grado, su richiesta della difesa (avvocato Giuseppe Ricciulli), per approfondire alcune testimonianze. Illiano in aula conferma il ruolo di Russo nel clan come gestore di una piazza di spaccio e come killer fidato, ribadisce di aver saputo da altri affiliati che Russo fece parte del commando e che fu lui a uccidere il tatuatore («era un bravo ragazzo e non doveva morire perché l’ordine era di gambizzarlo») e aggiunge nuovi ricordi, in primis la circostanza della copertura offerta ad Amato jr offrendosi di sostituirsi a lui durante una visita in ospedale per consentirgli di fuggire. Gli altri due collaboratori di giustizia sentiti in udienza parlano invece del movente del delitto e di alcuni retroscena che riguardano l’imputato e presunto killer, Vincenzo Russo.
«Nel 2011 Arcangelo Abete regalò a Russo un appartamento nello Chalet Bakù a Scampia, di fronte casa sua, per dimostrargli che lo apprezzava - racconta Giuseppe Ambra, collaboratore di giustizia da meno di un anno ed ex del gruppo Abete-Abbinante - Abete fece partecipare i capipiazza all’acquisto dell’appartamento, per cui ognuno versò una quota. Russo lo meritava perché si stava facendo la galera in silenzio». Abete è un esponente della camorra della periferia a nord di Napoli e al tempo del delitto Cimminiello era a capo di un gruppo che faceva cartello con altre famiglie malavitose che ruotavano nell’orbita degli Amato-Pagano. «Ho saputo che il commando che agì davanti al negozio del tatuatore era composto dagli uomini di fiducia di Abete. Abete - dice Ambra - ricambiò così i 20 pacchi di cocaina avuti da Pagano come regalo per la scarcerazione».
Ma perché Cimminiello era finito nel mirino della camorra? «Per motivi futili» spiega il collaboratore Rosario Guarino. Cimminiello aveva postato su Facebook messaggi che invitano ad affidarsi solo a tatuatori esperti in strutture autorizzate e aveva postato una foto con il calciatore Lavezzi scatenando la rivalità di un concorrente che si rivolse a tre uomini del clan Pagano per un’azione intimidatoria. Ma Cimminiello, esperto di arti marziali, seppe difendersi. Qualche giorno più tardi fu barbaramente ucciso. La famiglia, assistita dall’avvocato Mario Fortunato, chiede giustizia e nel processo è parte civile. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino