Il «lavoro agile», ovvero la possibilità che i dipendenti comunali possano lavorare da casa, è una realtà concreta. In 77 - su una platea massima...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LEGGI ANCHE Milleproroghe: c'è il sì al «Salva-Napoli»
Quali potrebbero essere le conseguenze per il Comune una volta che la legge diventa definitiva? I comunali in servizio sono circa 6mila e la cifra è arrotondata per eccesso. Da giugno se il 20% dei dipendenti dovesse optare per il telelavoro in 1200 resterebbero a casa a gestire le pratiche. Una misura che dovrebbe premiare - in teoria - soprattutto le donne che sono anche mamme. Lo spirito della legge è ben definito nel titolo della stessa: «Lavoro agile per il futuro della Pubblica amministrazione: pratiche innovative per la conciliazione vita-lavoro». E non è un caso che su 77 prescelti ben 38 siano donne. Nel dipartimento ragioneria 13 su 16 che hanno avuto il nulla osta per il telelavoro sono signore e signorine. E comunque con 16 smart worker che lavorano dall'esterno la struttura si svuota. Stesso ragionamento vale per l'avvocatura dove in 18 lavoreranno da casa e in 7 sono donne, complessivamente gli avvocati fuori sede sono 11. Insomma, «una rivoluzione nel segno della civiltà» trapela da Palazzo San Giacomo dove tuttavia si iniziano a fare i conti: con 1200 che in teoria potrebbero lasciare le sedi, reggere il terzo Comune d'Italia non sarebbe semplice.
LEGGI ANCHE Cimiteri nel caos: seppellire i defunti non è più un diritto
Chi opta per il telelavoro conserva anche il «diritto alla disconnessione». Vale a dire non rispondere a telefonate e a mail e ad altre sollecitazioni del capo ufficio a tutte le ore ma solo in periodi prestabiliti. In termini di stipendio ci rimetterà solo lo straordinario e il notturno. Che i comunali non fanno praticamente mai. «Il progetto - si legge nel regolamento - risponde all'esigenza di diffondere nelle Pa un nuovo modello culturale di organizzazione del lavoro più funzionale, flessibile e capace di rispondere agli indirizzi di policy e alle esigenze di innalzamento della qualità dei servizi». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino