Campania, nel campo dei terremotati: «Noi nei container quarant'anni dopo»

Campania, nel campo dei terremotati: «Noi nei container quarant'anni dopo»
Una generazione di figli del terremoto. E di terremotati. Che dopo quarant'anni ti aspetti di non trovare più. Quella spallata che scosse metà dello Stivale per...

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Una generazione di figli del terremoto. E di terremotati. Che dopo quarant'anni ti aspetti di non trovare più. Quella spallata che scosse metà dello Stivale per oltre 100 secondi, causando più di tremila morti, migliaia di feriti e sfollati, dopo otto lustri da cronaca si è fatta storia, sfumando in qualche modo i contorni di quel disastro sociale che ha fatto più vittime delle macerie, sconvolto intere aree geografiche, partorito mostri edilizi come i quartieri 219 (dal nome della legge sulla «ricostruzione») quali il Rione Salicelle ad Afrgola, il Parco Verde a Caivano, il piano Napoli a Boscoreale, la stessa Scampia.

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«Magari avessi potuto avere una casa in uno di questi quartieri, che anche con quello di brutto che accade lì sarebbe stata di sicuro meglio di questo schifo», dice Francesca Di Maio, robusta e simpatica signora che da ben 37 anni, vive, anzi sopravvive, nel campo dei terremotati di Grumo Nevano. Lo chiamano così, questo quadrato di cemento e lamiere dentro il quale abitano 18 nuclei familiari, tre dei quali terremotati «originali», e gli altri figli e nipoti di quelli che vi arrivarono con il sisma dell'80. Ed è ancora cronaca viva, un presente fatto di amianto, topi, erbacce, e zanzare grosse come mosche, che sguazzano negli ambienti mangiati da un'umidità nonostante l'approssimarsi dell'inverno. Un campo dall'infausto destino, tirato su sulle macerie di quello che doveva essere il nuovo cimitero di Grumo Nevano, poi abbattuto quando era stato realizzato a metà.

Un «villaggio» che come tutti quelli del terremoto dell'80 doveva essere provvisorio, destinato a ospitare un pugno di famiglie della zona rimaste da un momento all'altro senza un tetto. «E certo che volevo una casa decente dice Francesca avevo presentato la domanda per un alloggio, ma morto mio marito sono stata esclusa per mancanza di reddito». Il prefabbricato pesante, realizzato con cemento e amianto, vomita umidità verdastra nel lato esposto a nord, incolore invece quello a meridione. «Qui dentro ho cresciuto quattro figli, tre sono sposati, uno è ancora in casa. Abbiamo il problema dei topi, grossi come visoni, visto che il campo confina con l'isola ecologica».


Già, i topi. Una coabitazione difficile, un nemico più evidente delle onduline di amianto spugnato di umido. «Ne catturo tre, quattro al giorno dice Salvatore Aloe, padre di tre figli, nonno felice, che di anni qui ne ha trascorsi più di trenta. «Da quando ne ho memoria, nessuno ha mai provveduto a un minimo di manutenzione. Le case, diciamo così, si sbriciolano per l'umidità, i topi ci sono, e anche le erbacce. Le tagliamo noi. È vero continua non paghiamo l'affitto, e chi ha qualche soldo provvede da sè a riparare la propria abitazione e ad adattarla alle nuove esigenze. Altro che abusi. Il vero abuso è che non ci danno la possibilità di chiedere un alloggio popolare. Se dobbiamo vivere qui, non ci arrangiamo, semplicemente ci adattiamo». Rispetto alla pianta originaria, i viali si sono ristretti perché i container pesanti si sono allargati, per una cucina più grande, una stanza da letto, un tinello. Tutto nella massima precarietà. «Ci siamo ammalati tutti, in questo maledetto posto racconta con tono placido Pasquale De Maio, 71 anni, ex operaio dell'Italsider, dall'82 nel campo insieme alla moglie e alla figlia, mentre esibisce un voluminoso faldone che raccoglie la sua storia clinica e le pratiche con la Gescal per avere un alloggio che fosse tale. «Abbiamo dovuto rinunciare all'assegnazione di un appartamento nei 48 alloggi, perché il fitto, condominio compreso, era superiore ai trecento euro. Più di un terzo delle nostre entrate per una casa piccolissima. Di fronte al niente, resistiamo qui, nonostante le malattie».


Rassegnati e dimenticati. Così resistono gli ultimi terremotati della provincia di Napoli, forse della regione. «Più prima che poi questa situazione dovrà essere cancellata tuona il neo sindaco Gaeteano Di Bernardo - il Comune non ha soldi, loro sono degli abusivi e l'area è stata già destinata a strutture per servizi sociali. Li incontrerò, cercheremo una soluzione quanto più condivisa possibile».

 

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Il Mattino