Torre Annunziata: Irma Testa segno di speranza, ma Fortapasc non muore

Attesa per il ritorno della campionessa mondiale di boxe: in città camorra spavalda tra povertà e degrado

Palestra Boxe Vesuviana: il maestro Lucio Zurlo con il figlio Biagio e la campionessa Khadija Jaafari
inviata a Torre Annunziata «In questa palestra vengono i figli dei professionisti e i figli dei carcerati. Io dico che la boxe è come la livella di Totò, rende...

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inviata a Torre Annunziata

«In questa palestra vengono i figli dei professionisti e i figli dei carcerati. Io dico che la boxe è come la livella di Totò, rende tutti uguali. Loro sognano di diventare i nuovi Irma Testa o Michele Baldassi: non sarà così, ma intanto vengono, si allenano, si sfogano. Ci sono quelli che a casa hanno problemi, che se stanno in strada finiscono male. Vengono qua, non pensano più a niente. Se non vengono, io li vado a cercare». Lucio Zurlo non è un maestro, è un missionario, disse in un programma tv il bassista di Jovanotti, Saturnino: da buon missionario, lui sa quando è il momento di aspettare e quando di insistere, e adesso è quello di insistere «perché questi ragazzi, questa città hanno bisogno di modelli, di qualcosa a cui credere, mentre qui sembra che ci siano solo povertà e camorra». 

La camorra, soprattutto. Che spara e uccide, che si muove spavalda per le strade e spegne la sua voglia di vivere, la sua illusione di normalità. Persino la tentazione di entusiasmarsi. Non c’è neanche uno striscione, non un manifesto che inneggi all’impresa straordinaria di Irma Testa, campionessa mondiale di pugilato di ritorno tra oggi e domani nella sua casa alla Provolera, a due passi dagli Scavi di Oplonti e dalle abitazioni dell’arbitro di serie A Marco Guida e dello showman Stefano De Martino, rione un tempo ingioiellato dalle architetture settecentesche del Real Spolettificio borbonico, oggi vuoto, silenzioso, accecato da decine di saracinesche abbassate. «La festa? La faremo qui in palestra», dice Lucio Zurlo, che della Provolera è abitante orgoglioso («ci ho portato tanti colleghi arrivati da tutto il mondo, che volevano capire com’era fatta la palestra dei campioni») e non le manda a dire alla politica che non si è fatta sentire, neanche dopo un successo così grande: «Mi ha chiamato il ministro dello Sport, ma politici di Torre Annunziata, finora, proprio nessuno. Non lo vogliono capire, che noi da soli non ce la possiamo fare». 

Ci fosse, la politica, a Torre Annunziata. Ci fosse un Municipio. Ci sono invece, da un anno, tre commissari prefettizi, al lavoro in una sede che da sola è la perfetta metafora di questa città. Una sede grande, moderna, funzionale - era stata concepita come edificio scolastico - ma lontana chilometri dal centro. Lontana dai cittadini, dalla vita vissuta, piantata invece nel cuore della periferia industriale (in dismissione) al confine con Castellammare e Pompei. Fortuna che i commissari sono persone equilibrate e competenti, e l’hanno capito subito, quanto quella scelta compiuta dalla politica rampante di una decina di anni fa fosse sbagliata. «Tra un mese al massimo contiamo di cominciare il trasferimento nella sede storica, Palazzo Criscuolo, che abbiamo fatto risistemare», dice uno di loro, Ferdinando Mone, che ha una parola precisa per spiegare quel che non hanno trovato e che intendono invece lasciare quando, più o meno tra un anno, consegneranno la città a chi vincerà le elezioni: dignità. 

«Vanno compiute scelte che restituiscano dignità ai cittadini, completamente ignorati, finora, nelle loro esigenze, nelle aspettative». Una popolazione allo sbando, che reagisce con l’indifferenza. «La borghesia, quella che abita nella zona nord della città, panoramica, moderna, neanche ci mette piede, nel centro storico. È sempre stato così, mi dicono, ma oggi la frattura è più che mai evidente», dice Mone. Gli altri, quelli che vivono più giù, tra i vicoli del Quadrilatero dall’oscura fama e le stradine diroccate che scendono verso il porto, si tengono quello che c’è. Cioè sempre meno: vecchie palazzine a rischio crollo (il nuovo capo dell’ufficio tecnico, assunto per concorso dai commissari dopo l’arresto per corruzione del precedente, ha firmato 50 ordinanze di messa in sicurezza in 10 mesi), strutture un tempo gloriose come il teatro Metropolitan che sembrano uscite da un bombardamento, negozi vecchi e fatiscenti che chiudono uno dopo l’altro. Povertà, degrado, mancanza di lavoro. Bastano a spiegare la recrudescenza criminale? «Qui la camorra - è la tesi di Zurlo - ha sempre agito “contro” la città. Le cose belle sono offuscate dal crimine» 

Così Fortapasc non muore mai. «Ma noi non ci fermiamo: l’immagine della città deve cambiare, il nostro programma di affiancamento dei minori a rischio, tutto il progetto Savoia continua», dice Nazario Matachione, farmacista e socio di Emanuele Filiberto che alcuni mesi fa ha rilevato la squadra di calcio. «Ci stanno mettendo i bastoni tra le ruote - denuncia Matachione - neanche lo stadio riusciamo a rilevare. Certa borghesia ci vede incredibilmente come avversari». «C’è bisogno di un progetto di città», sintetizza Mone: «Noi alcune linee le abbiamo tracciate, riordinando gli uffici, avviando le gare per le telecamere di sicurezza, la pulizia del litorale, mettendo mano al Puc. Ma in due anni, e con i poteri limitati che abbiamo, si può fare poco». 

Molto, moltissimo può fare la società civile. La scuola, per cominciare. Il liceo Croce-Pitagora, racconta Biagio Zurlo, figlio e factotum di Lucio, è il primo in Italia ad aver inserito la boxe tra le materie curriculari. A poche centinaia di metri dal Circolo dei pescatori teatro della strage del 1984 e del Penniniello dove domenica è stato ucciso il nipote di un boss, c’è l’istituto professionale Marconi-Galilei: un vero e proprio campus, aule ampie e luminose, un palazzetto dello sport, campi da tennis e di calcio, teatro, laboratori e una preside, Agata Esposito, che non si ferma mai: «Combattiamo la dispersione grazie a un rapporto stretto con servizi sociali ottimi ma soprattutto stimolando gli interessi dei ragazzi. I nostri tanti indirizzi vengono incontro alle loro inclinazioni, abbiamo corsi pomeridiani, stiamo per aprire canali internazionali: l’indice di occupabilità post-diploma è già alto, ma vogliamo che i ragazzi facciano esperienza all’estero». Monsignor Raffaele Russo, rettore della Basilica Maria Santissima della Neve, patrona della città, conferma: «Ai ragazzi bisogna dare speranza. E fiducia. Ho trovato lavoro, con grande fatica, al figlio di un ergastolano. L’imprenditore dopo due settimane mi ha chiamato: è serio, attento, bravissimo. All’oratorio ho tanti ragazzini a rischio. Ma guai a considerarli persi». 

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Il Mattino