Trianon, Nino D'Angelo lascia: «Pochi soldi per la stagione»

Trianon, Nino D'Angelo lascia: «Pochi soldi per la stagione»
È una storia di false ripartenze, quella del Trianon. Una vicenda di entusiasmi traditi e annunci puntualmente smentiti dai fatti. Di passi in avanti e passi indietro la...

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È una storia di false ripartenze, quella del Trianon. Una vicenda di entusiasmi traditi e annunci puntualmente smentiti dai fatti. Di passi in avanti e passi indietro la cui somma algebrica, inevitabilmente, fa zero.

Anche tra i passi indietro, però, ce n'è qualcuno che fa più rumore degli altri: per esempio, quello di Nino D'Angelo, direttore artistico in pectore con tanto di investitura presidenziale. «Si riapre a novembre, D'Angelo potrà subito avviare la definizione della stagione invernale», annunciava in una nota il governatore Vincenzo De Luca giusto un mese fa. La suggestione di tornare dopo sei anni in sella al «suo» Teatro del Popolo aveva convinto l'artista a mettere da parte altri impegni. «Ho rinunciato alla tournée e ho cominciato a contattare con le compagnie: naturalmente mi hanno chiesto garanzie, del resto chi firmerebbe ad occhi chiusi un contratto col Trianon, conoscendone la situazione debitoria?», domanda. Ma col passare dei giorni gli interrogativi sono diventati ben più ponderosi. «Dal mio ultimo incontro con il presidente De Luca è passato un mese, e non si è mosso niente. Se il presidente della Regione ti dice vai, pensi che ci stanno i soldi. Invece qualche giorno fa il presidente del Cda Gianni Pinto mi ha fatto presente che non può garantirmi le risorse per pagare le compagnie. In più, i lavori non sono ancora cominciati. Di questo passo, è chiaro che la stagione salta. E poi, senza le risorse per il cartellone, io faccio il direttore di cosa? È una situazione che puzza, mi sa di presa in giro - storce il naso il cantautore -. Per questo mi faccio da parte. Non si può ricominciare partendo dalle incertezze».

E così se ne va, D'Angelo: ancora prima di arrivare. Ma il cantante è convinto che la colpa non sia di De Luca. «Durante la campagna elettorale lo portai in teatro. Sembrò che se ne fosse innamorato, eppure in un anno non è successo niente. Se fosse per lui il teatro sarebbe già aperto, ma purtroppo ha delegato a persone che stanno solo perdendo tempo. All'inizio dovevano esserci 600mila euro l'anno più i soldi per i lavori. Ora mi dicono che con quei 600mila euro si devono pagare sia i creditori che la ristrutturazione. E per la gestione che cosa resta? Finiti quei 600mila euro, come si va avanti? Insomma, vogliono darmi una macchina senza benzina». Per questi motivi l'autore di Senza giacca e cravatta ha scelto di defilarsi. «Viste le premesse, è facile immaginare come andrà: finiranno i soldi, io per forza di cose dovrò dare le dimissioni e diranno Nino D'Angelo ha affondato il Trianon. Già me li immagino i titoli sui giornali. È un gioco molto strano, al quale non intendo prestarmi. Cambiare idea? Firmo soltanto se ho certezze sul cartellone e sul mio compenso. Visto che l'altra volta non mi hanno pagato, anch'io ho un po' paura», ammette. Tra i creditori, che avanzano in tutto oltre 900mila euro, c'è infatti lo stesso D'Angelo. «Dovevo avere 200mila euro, ho accettato una transazione a 150mila. Ma ho chiesto che gli altri 50mila vengano spesi per il quartiere», fa sapere.


Poi rivela: «Una settimana fa sono stato dal sindaco de Magistris, mi ha detto di riferire a De Luca che il Comune è pronto ad entrare nel Trianon e che onorerà poco alla volta il debito della Città metropolitana (circa 1,5 milioni, ndr). Quando ho chiesto di incontrare il presidente della Regione, però, mi hanno risposto che non era possibile», spiega contrariato D'Angelo, che in queste settimane sta lavorando al disco dei sessant'anni, che vedrà la partecipazione eccezionale di Franco Battiato, e alle musiche di Falchi, il film di suo figlio Toni, in uscita a novembre. Intanto, sventata l'ennesima vendita all'asta (una nuova udienza è fissata a dicembre), la sala di piazza Calenda rischia di perdere i 450mila euro della legge 6, destinati ai soli teatri che tagliano il traguardo delle cento «alzate di sipario». Obiettivo lontano, visti i dubbi sulla riapertura. Massimo Taglialatela, segretario della Uilcom, scommette: «I lavori non inizieranno prima di ottobre». A rompere gli indugi prova il consigliere regionale dei Verdi Francesco Borrelli: «Basta chiacchiere - scrive -, Pinto e Maffettone vengano in Commissione cultura a dirci la verità sul Trianon». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino