Uccisero il cognato del boss, carcere a vita per gli scissionisti

Uccisero il cognato del boss, carcere a vita per gli scissionisti
Quindici anni dopo la faida, arrivano le condanne definitive per i killer degli Omobono-Scarpa e altri protagonisti della guerra di camorra stabiese. Uno di loro, però,...

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Quindici anni dopo la faida, arrivano le condanne definitive per i killer degli Omobono-Scarpa e altri protagonisti della guerra di camorra stabiese. Uno di loro, però, è irreperibile da sette anni. La Corte di Cassazione ha chiuso con il sigillo definitivo uno dei periodi più bui della storia criminale stabiese, con una serie di omicidi eccellenti e un nascente clan che cercò di scippare fette di malaffare ai D'Alessandro. Confermati gli ergastoli per i due killer che si erano messi a capo del gruppo camorristico mai diventato veramente clan. Carcere a vita per Massimo Scarpa, alias «o napulitano», e Michele Omobono, detto «o marsigliese», i due capi del gruppo scissionista che innescò una guerra senza esclusione di colpi. I due sono detenuti da anni e nel 2004 dichiararono guerra alla cosca del quartiere Scanzano, ammazzando due pezzi da novanta del clan, innescando la faida e la scissione dai D'Alessandro.


 

LA FAIDA
Quella guerra di camorra costò la vita a due pregiudicati, elementi di spicco del clan D'Alessandro, ufficialmente semplici operai dell'indotto Fincantieri, ma veri e propri capi della cosca. Prima Giuseppe Verdoliva, 51enne conosciuto con il soprannome di «Peppe l'autista» perché era stato lo chauffeur dell'allora boss (poi defunto) Michele D'Alessandro: il 4 giugno 2004 fu ucciso in via Brin, vicino al cantiere, finito con un colpo alla nuca, mentre rimase ferito un operaio che era con lui. Il 20 ottobre di 15 anni fa, poi, fu consumato l'agguato ad Antonio Martone, fratello di Teresa, la vedova del boss D'Alessandro. Il cognato del capoclan aveva più volte assunto il ruolo di reggente del sodalizio criminale nei periodi di detenzione del boss.
Quei due omicidi furono due segnali mandati ai vertici del clan D'Alessandro, che aprirono la faida conclusa solo con una serie di arresti eccellenti. Per Scarpa e Omobono è arrivata la conferma delle accuse di omicidio pluriaggravato, con recidiva infraquinquennale, ma senza aggravante mafiosa. Sì, perché seppure il contesto fosse chiaramente camorristico, i due killer stavano costituendo il nuovo gruppo, ma non avevano ancora creato il loro clan vero e proprio. Scarpa, infatti, veniva da diciotto anni di carcere, era tornato libero da poco tempo e voleva prima di tutto regolare alcuni conti.

Da un annullamento parziale, era tornato in appello e poi di nuovo in Cassazione il processo anche per gli altri tre imputati. Raffaele Martinelli, Giovanni Savarese «cicchiello» e Raffaele Carolei. Per loro è arrivata la conferma della seconda condanna di secondo grado: sedici anni e mezzo i primi due, un anno in più per il cugino di Paolo Carolei, uno dei pezzi grossi del clan D'Alessandro. Quest'ultimo, però, è irreperibile ormai da sette anni. Era il 2012, quando si sono perse le sue trace. Residente al rione Moscarella, appena scarcerato per decorrenza dei termini proprio per questi fatti, Carolei è letteralmente scomparso. Sul suo caso, in passato è stata anche aperta un'inchiesta con l'ipotesi di «lupara bianca». Sono ancora liberi gli altri due coimputati Martinelli e Savarese. Proprio Savarese è ritenuto tra gli autori del recente raid contro un chiosco in villa comunale. Negli ultimi anni, Savarese è stato arrestato per spaccio di droga ed è ritenuto uno dei capi della piazza di spaccio del Centro Antico di Castellammare di Stabia.
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Il Mattino