Lesia porta in salvo a Napoli le due figlie: «Ma devo tornare in Ucraina per mia madre»

Lesia porta in salvo a Napoli le due figlie: «Ma devo tornare in Ucraina per mia madre»
Anna ha dieci anni e gli occhi bassi. Con le mani si aggrappa al giubbotto di sua madre per ripararsi dalla folla all’esterno dell’Ufficio Immigrazione di via...

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Anna ha dieci anni e gli occhi bassi. Con le mani si aggrappa al giubbotto di sua madre per ripararsi dalla folla all’esterno dell’Ufficio Immigrazione di via Ferraris. Ievheniia, invece, di anni ne ha diciassette, ha i pugni chiusi e uno sguardo adolescente di sfida, arrabbiato e pronto alla lotta. Qualche giorno fa Anna e Ievheniia erano in Ucraina, tra i banchi di scuola, il parco, la loro cameretta e la loro vita di sempre. Sono fuggite dai raid e dalle sparatorie che hanno terrorizzato Leopoli assieme alla madre, Lesia Yatsyshyn trentotto anni e già vedova, che ha deciso di portarle a Napoli in pullman per «salvare la vita alle sue bambine», racconta in inglese. Sono tutte speciali le storie di guerra, ma le odissee di questa guerra sono diverse da quelle dei conflitti degli ultimi decenni. Sono più liquide, più mobili, più vicine, e sono fatte di fughe e di ripartenze. Lesia, infatti, non può restare in città: «Devo tornare in Ucraina al più presto - continua, sempre in inglese - perché mia madre sta male e non ha nessuno che possa prendersi cura di lei». Un’odissea tutta al femminile, complicata e piena di coraggio. 

«È una situazione difficilissima». Stavolta Lesia, provata dalla fatica e dall’incubo (il viaggio in bus via Ungheria è finito sabato), parla in ucraino. Per lei traduce sua nipote, Romanna Stanhret, una venticinquenne piena di vita e iniziativa che vive ad Afragola, studia all’università, e parla un italiano impeccabile. «Il piano di mia zia Lesia - chiarisce - è quello di lasciare le bambine qui, con me e mia madre Olha, regolarmente residenti in Italia da moltissimi anni. Lesia dovrà poi tornare a Leopoli. Non vuole combattere, ma deve assolutamente prendersi cura di mia nonna, che non sarebbe stata in grado di sostenere il viaggio, perché è stata in ospedale per un’operazione e le hanno tolto l’ossigeno solo una settimana fa». «Chi vuole combattere invece è mia figlia Ievheniia», sospira a questo punto Leisia, in inglese. La 17enne annuisce con veemenza. Non vorrebbe restare a Napoli, ma tornare in patria a difendere l’Ucraina, riprendersi quella vita che le è stata tolta. «Non comprende che lasciandola qui con mia sorella voglio salvarle la vita», aggiunge sua madre. L’adolescente qui incrocia le braccia e si volta dall’altro lato. La sorellina di dieci anni, invece, continua a tenersi aggrappata al giubbotto rosso di Lesia, che le accarezza la testa nascosta da un cappellino rosa, prima di incamminarsi con lei, mano nella mano, tra le dissestate strade strette tra Gianturco e il centro direzionale.  

Leisia, Anna, Ievheniia, Romanna e Olha: le cinque donne protagoniste di questa odissea di guerra hanno passato ore tra gli uffici di Questura e Consolato, tra via Ferraris e centro direzionale. I funzionari, subito disponibili, le hanno ricevute in via prioritaria, ma la questione continua a essere delicata. Di fatto, le autorità hanno spiegato loro che «le bambine possono restare in Italia per 90 giorni del tutto legalmente - spiega Romanna - I passaporti biometrici danno la possibilità di restare fuori dall’Ucraina per tre mesi, come turisti. Le ospiteremo, come ci è stato consigliato, visto che Lesia deve tornare in Ucraina. Siamo però preoccupate per eventuali emergenze che potrebbero sorgere, in assenza di un documento scritto che attesti che mia madre e io ne siamo responsabili: dovremo capire come fare se Anna o Ievheniia avranno un problema medico, o per iscriverle a scuola. Altro problema riguarda il Green pass: in Ucraina, infatti, i minori non possono vaccinarsi. Gli uffici ci hanno consigliato di fornire una documentazione che attesti che mia madre e mia zia sono sorelle. Speriamo che la pratica venga accettata, poi mi consulterò con un avvocato per comprendere se ci sono possibilità per un affidamento provvisorio». Portare le figlie «in salvo» per poi tornare in patria. Tante storie simili a quella di Lesia potrebbero arrivare in Italia per colpa di questa nuova, assurda guerra nel cuore dell’Europa.


 

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Il Mattino