La vacanza in Sardegna del boss amante del lusso: «Mi è costata 90mila euro»

L’uso della forza per la vendita dei locali commerciali: «Se ti metti contro vengono con le mazze e ti spezzano»

Il blitz dei carabinieri
Migliaia di euro per una vacanza in Sardegna. Soldi spesi con tranquillità senza nessun pensiero, per il semplice motivo di aver guadagnato ben un milione e mezzo in un...

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Migliaia di euro per una vacanza in Sardegna. Soldi spesi con tranquillità senza nessun pensiero, per il semplice motivo di aver guadagnato ben un milione e mezzo in un solo anno. Soldi che facevano in modo che Francesco Ferrara, cugino di Mimì, vivesse tranquillo e potesse permettersi una pausa di lusso così come emerge dalle stesse intercettazioni. Le forze dell’ordine infatti hanno captato una conversazione in cui il capo del clan parlava proprio di quella vacanza del 2010.

«Sono andato in Sardegna e una vacanza una volta, mi è costata 80-90 mila euro, però in quell’anno ho guadagnato un milione e mezzo hai capito? Ma mica stavo solo io? Stava mio fratello. Solo di albergo io pagai ventidue mila euro, solo per dormire, però mi sono fatto una vacanza io. Per tutto quello che ho fatto non ho fatto niente in confronto a quello che mi sono guadagnato».

Il clan aveva la forza di imporsi anche su compravendite di locali e laddove non riusciva nel suo intento mandava suoi emissari a intimidire i potenziali acquirenti. In una registrazione si legge: «Tu ragazzo ti vuoi mettere contro loro? Mettiti contro loro, ti prende Mimì, ti dà quattro, cinque schiaffi, ma questa è un ipotesi. Ma se vengono quattro cinque di loro con una mazza e ti spezzano a metà a metà che fai? Tuo padre che fa? Deve passare un guaio, un guaio pure tuo padre dopo? Ma perché devi arrivare a tutto questo. Sono gente di merda! Non gli far aprire il magazzino che passi un guaio, vedi come te lo sto dicendo, non far aprire il magazzino. Non far aprire il magazzino che passi un guaio. Te lo sto dicendo perché “ti voglio bene”. Quello me l’ha detto chiaro, chiaro: “Non far aprire il magazzino che ci prendiamo collera”».

La loro forza si estrinsecava anche nelle estorsioni e nell’usura di cui sono noti decine di episodi, ma anche nella corruzione. E infatti per ottenere la gestione di distributori di benzina il clan non esitava a versare tangenti a uno dei dirigenti di una grossa compagnia petrolifera. Grazie a questo loro contatto riuscivano infatti ad accaparrarsi decine di distributori nei quali tra l’altro riciclavano anche il denaro proveniente dai loro affari loschi. Affari che comprendono anche il commercio di droga, con un particolare. Gli stupefacenti non dovevano essere venduti sul territorio di Villaricca. Nonostante quindi l’investimento di ingenti somme di capitali nella droga a livello internazionale, il boss aveva lanciato un diktat assoluto per il suo territorio.

Per anni la cosca è stata satellite dei Mallardo di Giugliano, fino a diventarne partner commerciale. Sono stati gli stessi vicini giuglianesi a incitare i Ferrara a espandere i loro affari e a farsi più aggressivi lasciando il semplice giro delle estorsioni e ampliando i loro interessi sui settori commerciali e politici. Ma non solo. Molti commercianti nel timore di ritorsioni e per «stare tranquilli» erano indotti a regalare i loro prodotti agli esponenti del clan. «Nel periodo natalizio - come si evince dalla lunga ordinanza - venivano donate immense quantità di prodotti alimentari da parte di grossisti e imprenditori presenti sul territorio, al fine di omaggiare i capi e gli affiliati al clan. In particolare, il titolare di una ditta di vendita di pesce omaggiava i rappresentati di spicco di ingenti quantitativi di pesce».



Ma non è finita qui. Uno degli indagati, Giuseppe Mauriello, alias «Peppe o’ jey», era incaricato di annotare il numero dei decessi che si verificavano a Villaricca per calcolare l’importo della somma di denaro che uno degli imprenditori del marmo della zona era costretto a corrispondere al clan a titolo di tangente per l’esercizio della sua attività. Il tutto veniva calcolato in proporzione al numero delle salme da seppellire al cimitero. Lo stesso imprenditore doveva poi corrispondere personalmente a Mauriello 100 euro per ogni defunto. Non poteva poi mancare il settore edile con estorsioni imposte agli imprenditori e appalti pilotati. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino