«Valentino Gionta ordinava gli omicidi dal carcere duro: gli bastava girare un tappo di bottiglia»

«Valentino Gionta ordinava gli omicidi dal carcere duro: gli bastava girare un tappo di bottiglia»
«Se Valentino Gionta e Ciro Paduano vogliono ordinare un omicidio, gli basta fare il nome della vittima e girare il tappo della bottiglia». Anche dal 41-bis, il regime...

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«Se Valentino Gionta e Ciro Paduano vogliono ordinare un omicidio, gli basta fare il nome della vittima e girare il tappo della bottiglia». Anche dal 41-bis, il regime del carcere duro dove stanno scontando l'ergastolo, il capoclan 68enne e il suo braccio destro riescono a dare ordini. Lo fanno con gesti, mezze parole, linguaggio cifrato, nel corso dei colloqui mensili con i familiari. A confermare quel che l'Antimafia ha sempre sostenuto adesso ci sono anche le dichiarazioni di Pietro Izzo, 46 anni, affiliato di spicco del clan Gionta, dallo scorso marzo passato nella schiera dei collaboratori di giustizia.

Izzo si è pentito dopo aver scoperto che il suo stesso clan voleva ucciderlo, dopo essere sfuggito a un agguato e dopo che la moglie lo ha lasciato. Tra l'altro, proprio l'ex moglie Anna Frizzi ha subito un maxi sequestro di beni un anno fa, perché avrebbe percepito per quindici anni il vitalizio da 600 euro al mese che spetta ai familiari di vittime innocenti della camorra: il nome del papà Antonio Frizzi era tra le otto persone uccise nella strage di Sant'Alessandro, l'assalto armato al circolo dei pescatori di Torre Annunziata consumato contro il clan Gionta il 26 agosto 1984. Frizzi fu riconosciuto vittima innocente nel 2002, ma sua figlia era già sposata da tre anni con Pietro Izzo, che sarebbe poi arrivato a scalare le gerarchie del clan fino a diventare per un periodo «il boss dei 13 quartieri».

In carcere dal 2016, per la prima volta le sue dichiarazioni entrano in un processo. Ieri mattina, il pm Ivana Fulco ha prodotto gli stralci di tre verbali resi all'Antimafia da Izzo, nel corso del processo a Pasquale Cherillo, il 38enne ritenuto tra i capi del «Quarto Sistema» di camorra creato in contrasto con i Gionta e i Gallo-Cavalieri, clan dal quale si sono allontanati gli affiliati al nuovo gruppo, per creare una costola autonoma con roccaforte nel rione Penniniello di Torre Annunziata. Assistito dagli avvocati Ferdinando Striano e Raffaella Farricelli, Cherillo si sta difendendo dalle pesanti accuse, mentre i presunti complici sono già stati condannati in primo grado. «Pasquale Cherillo insieme al fratello è l'autore dell'agguato contro Giuseppe Carpentieri» sostiene Izzo, che lo ha saputo in carcere direttamente dalla vittima. Marito di Teresa Gionta e in quel periodo reggente del clan, a maggio 2020 appena scarcerato Carpentieri fu ferito mentre era sul terrazzo. Poi è finito di nuovo in carcere il 30 novembre scorso. Contro Cherillo sono spuntate nuove prove nel corso del dibattimento: accanto alle dichiarazioni di Izzo, c'è una nuova perizia fonica disposta dai giudici del tribunale di Torre Annunziata (collegio presieduto da Riccardo Sena, a latere Maria Ausilia Sabatino ed Adele Marano) che ha ribaltato quella del consulente della difesa, che lo aveva scagionato riscontrando che quella intercettata non era la voce dell'imputato. Alla prossima udienza questa perizia tornerà in discussione, mentre i giudici decideranno se ascoltare per la prima volta in aula proprio Izzo.

Nel frattempo le sue prime dichiarazioni sono finite nel fascicolo del processo. E il primo passaggio riguarda proprio il capoclan Valentino Gionta, capace di ordinare un omicidio semplicemente «girando il collo della bottiglia». Nella parte omissata potrebbero esserci le nuove accuse al boss dei «valentini» che chiedeva di «accendere una candela a San Gennaro» se aveva intenzione di mandare soldi ad un affiliato di nome di Gennaro. Dettagli, questi, descritti da Pietro Izzo, che ha accompagnato l'altro Valentino Gionta (classe 1983, figlio di Ernesto, il fratello del capoclan) ad alcuni colloqui con lo zio boss, che in quella occasione gli conferì l'incarico di reggente. «Io affiancai Valentino Gionta 83 nella gestione del clan racconta il nuovo collaboratore di giustizia poi ci fu una discussione con i Paduano e consegnammo la cassa da 31mila euro a Sasà, che era latitante all'epoca». 

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Il Mattino