Esistono diversi modi per raccontare la criminalità organizzata, il Sud e anche il mestiere di giornalista. Si può scegliere la via maestra dell’inchiesta...
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Ne è venuto fuori un libro scritto con una prefazione del documentarista Duccio Giordano. S’intitola, appunto, Senso di marcia (Giapeto editore, pagg. 142, euro 12). Sarà presentato domani alle 18, alla Feltrinelli di piazza dei Martiri a Napoli. Con Del Gaudio, Maresca e Giordano ci sarà il giornalista Sandro Ruotolo, mentre l’attrice Claudia Ruffo leggerà passi del testo. Senso di marcia è costruito come un viaggio in moto, una storica Yamaha XT che porta il protagonista (un giornalista di giudiziaria diverso e simile all’autore come ogni personaggio in cerca d’autore che il proprio autore ha trovato) fin giù nella profonda Sicilia, in una Gela profumata e malata allo stesso tempo, per incontrare un magistrato senza scorta, Lucia Lotti.
Circondati da un paesaggio alla Montalbano (l’immaginaria Vigàta è poco lontana), il giornalista e la donna di giustizia restituiscono un ritratto inedito dell’isola e dell’impegno contro la mafia.
Ma il pensiero rincorre anche Alessandra Dolci che lavora a Milano, perché Nord e Sud sono vittime dell’unica Unità d’Italia che si è realizzata, quella della delinquenza con il colletto bianco. È la mafia, che, come scrive ironicamente e paradossalmente Maresca, è la prova che al Sud qualcosa funziona. Anche se, aggiunge il pm napoletano, «si chiamano uomini d’onore, tra di loro, ma non sono l’una cosa e non hanno l’altra». Del Gaudio, di suo, racconta, ma analizza pure. Lo fa con la libertà generata dalla conoscenza della materia pulsante nella quale s’imbatte quotidianamente, ma anche suggerita dall’immaginazione che integra, svia e spiega meglio, per vie traverse. C’è più senso in una prospettiva laterale che in cento volumi di sociologia.
A tratti la narrazione diventa un flusso di coscienza, ma scanzonato, perché il protagonista-autore sa trasformare il lavoro (nel libro, dove può permetterselo) in divertimento: conosce le regole del mestiere, le ha interiorizzate eticamente, più che averle apprese con le pur necessarie regole imposte della deontologia. Così vita e lavoro s’intrecciano, sull’onda di un genuino entusiasmo, smentendo l’adagio che fare il giornalista sia sempre meglio che lavorare. Non lo è, soprattutto quando si vive la fatica e il privilegio di inseguire tracce di cronache infinite che, faldone dopo faldone, costruiscono la storia segreta di un Paese, il romanzo italiano. È questo il senso di marcia, anche se a volte può apparire come un labirinto. Ma Del Gaudio non si smarrisce e tiene avvinto il lettore. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino