Vietato abortire, in 18 ospedali italiani non si può interrompere la gravidanza

Vietato abortire, in 18 ospedali italiani non si può interrompere la gravidanza
Vietato abortire. Non si può in 18 ospedali italiani, perché i ginecologi che lavorano in queste strutture si dichiarano...

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Vietato abortire. Non si può in 18 ospedali italiani, perché i ginecologi che lavorano in queste strutture si dichiarano contrari. Sono tutti obiettori di coscienza individuati nell’indagine “Mai dati!” curata da Chiara Lalli, docente di Storia della medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista. Con l'associazione Luca Coscioni, che segnala anche altri diritti negati. In Liguria come in Campania, e in tante altre regioni.

Sono infatti di più, 72 in totale, gli ospedali con personale obiettore tra l’80 e il 100 per cento, cui si aggiungono i 18 presidi "no-aborto" e 4 consultori con il 100 per cento di dirigenti medici che si rifiutano di eseguire gli interventi chirurgici e di somministrare la pillola Ru486. In Abruzzo, Veneto, Umbria, Basilicata, Campania, Liguria, Lombardia, Puglia, Piemonte, Marche, Toscana. Una mappa inedita è inserita nel rapporto, che va a colmare una lacuna nella relazione annuale sulla legge 194/78 del ministro della Salute: aggregando le informazioni per regione presentate in Parlamento, di fatto si non rende pubblica la situazione nelle singole strutture. Quindi, non si vedono neppure i disagi pesanti nell'accesso a un servizio.

«La legge 194 del 1978 prevede, letteralmente, che "gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza”», fa notare Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Coscioni. «Al ministro chiediamo l’invio di ispettori nelle strutture con il 100 per cento degli operatori obiettori di coscienza e nelle Regioni per sapere come viene garantita l'interruzione volontaria di gravidanza, quali sono le misure messe in campo, quali le criticità di applicazione e i costi dell’obiezione. Chiediamo, inoltre, che sia istituita una commissione di inchiesta parlamentare». Rimarcano Lalli e Montegiove. «Tutti i dati devono essere aperti, pubblici, aggiornati e per singola struttura. Chiediamo al ministero questo, di proseguire nella raccolta, e alle Regioni di fare la stessa cosa». 

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Il Mattino