Storie esemplari sono fatte anche di tasselli. Di gesti compiuti con semplicità, in silenzio, da napoletani operosi che dedicano il loro tempo alla cura di altri...
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A svuotare le scodelle sono sette felini, che diventano aristogatti nel parco Virgiliano, sulla collina di Posillipo. Qui Strato Petrucci, 68 anni, è uno dei tanti in città che, con amore disinteressato, dà da mangiare agli animali senza padroni. Ma lui stesso ha conosciuto la fame sin dall'infanzia, con i dieci fratelli e il papà spazzino. Mangiare, dunque, sembra quasi un'ossessione che non vuole abbandonarlo, così la storia svela un altro tassello, il suo presente permanente. «A 16 anni parto per lavorare in fabbrica a Utrecht: lì c'è già mio cugino che, dopo qualche settimana, vuole spostarsi, però, in Riviera: mi suggerisce di seguirlo, io non me la sento di dire a tutti che rientro, resto lì per un' po', vado ad Amsterdam, poi Rotterdam, Cannes, Nizza, Parigi...», racconta ormai anziano, dando le spalle alle pista di atletica. Petrucci serve bibite sotto il sole, per questo è abbronzato tutto l'anno, e d'estate indossa una canottiera bianca che fa risaltare il fisico asciutto, modellato dalla fatica quotidiana. «A 20 anni faccio di tutto per mangiare, devo mangiare per forza, rischio la vita», insiste. E racconta: «Mi imbarco e mi ritrovo a cento chilometri dalla costa. In mezzo al Mediterraneo». Non tutto si può scrivere, Strato ora viaggia solo nell'immenso mare delle parole. Parole che invadono il cuore, con la forza di un'onda. E, nella grande traversata, qualcuno gli getta un salvagente: «Vengo assunto come bagnino alle Rocce verdi, ma l'impiego è stagionale. Arrotondo facendo il trasportatore, e consegno la frutta con mio fratello, direttamente a domicilio. Ma devo sempre mangiare, per forza: mi decido a costruire una baracca abusiva nel Virgiliano, alla fine l'ultima autorizzata. Oltre trent'anni fa». Nel frattempo, Strato diventa papà di Fabio e Marco, entrambi motivo di orgoglio: «Il più piccolo lavora con me, il primogenito è uno scultore che espone anche all'estero». Ma, per provvedere alla sua formazione, da genitore Petrucci ricorda che ha continuato a fare i conti con la miseria. «Ho potuto dargli mille lire al giorno per l'Accademia d'arte, non oltre, costringendolo a scegliere se mangiare cornetto o caffè o timbrare il biglietto sui mezzi pubblici». Fortuna che la baracca diventa un chioschetto. «Peccato che oggi manchi l'acqua: per dar da bere ai gatti, vado a prenderla in un'altra zona del Virgiliano e, qui intorno, non ci sono panchine, i bagni non funzionano, alcuni alberi secchi, serve più manutenzione, quel ramo è a rischio crollo...». Ma ogni felino (sette quelli censiti nella colonia cui si aggiungono i randagi) ha vitto assicurato, e un nome proprio. «La prima che ho adottato è Principessa, invece Pinuccio non si muove dall'ombrellone, ecco il Rosso, Capa di bomba, Joe... il Nero. Vivono tutti in libertà assoluta, grazie a Tommaso», si schermisce. «E, a difendere i gatti, provvede Zola, come l'ex giocatore del Napoli, nella squadra c'è anche un cane, un altro trovatello», lo accarezza e ride Strato. «Veniamo, Tommaso e io, anche quando c'è l'allerta meteo, nessuno di loro resta mai digiuno». E tutti i tasselli sono a posto. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino