«’A malaparola»: in un libro l’etimologia degli insulti nella lingua napoletana

Alcuni volumi di 'A malaparola
Del vasto mare di parole che costituiscono il vocabolario della lingua napoletana sono tante quelle che per buona educazione non si dovrebbero mai pronunciare. E invece le...

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Del vasto mare di parole che costituiscono il vocabolario della lingua napoletana sono tante quelle che per buona educazione non si dovrebbero mai pronunciare. E invece le malaparole vengono fuori ogni volta che c’è bisogno di sfogare la rabbia, di colpire qualcuno con un’offesa verbale. Espressioni colorite, sfocianti spesso nella volgarità, che facciamo nostre per sentito dire, tramandate da genitori e nonni, ma di cui molte volte ignoriamo il vero significato. Di conseguenza, in molte occasioni ci si ritrova a rivolgere all’obiettivo della nostra rabbia epiteti e insulti che non rappresentano la giusta portata dell’offesa con cui si voleva colpirlo.

 
Da questa riflessione nasce l’idea di Davide Brandi di raccogliere in un libro queste espressioni, spiegandone l’etimologia. Un volume, questo ‘A malaparola, frutto di un’antica passione: «Sono stato cresciuto con le novelle di Basile e le poesie di Di Giacomo – spiega l’autore –. Perciò è stato naturale che io m’innamorassi della lingua napoletana e di tutto ciò che appartiene alla nostra cultura. Forse meno naturale era il quaderno dove annotavo parolacce di ogni lingua e dialetto, ma anche quell'abitudine era conseguenza di quell’innamoramento». Un amore che l’ha portato a diventare professore di “lengua napulitana”: «Da anni con la mia associazione I Lazzari tengo corsi a Palazzo Venezia, un’esperienza che mi ha portato a collaborare anche con l’Institut Français Napoli e poi con Radio Marte, dove tenevo la rubrica ‘A malaparola, all’interno del programma condotto da Franco Simeri. Lì spiegavo il significato delle parolacce napoletane, andandone a intercettare anche la radice, che spesso affonda nel francese, spagnolo, talvolta nell’arabo, ma soprattutto dalla vulgata di origine latina e greca, conseguenza del fatto che la città ha subito tante dominazioni straniere».
 
Un esperimento che voleva conferire alla malaparola una dignità culturale e disinnescare la carica d’odio che porta con sé: «Soprattutto i ragazzi si scagliano addosso parolacce di cui molto spesso non conoscono il significato e, quando lo scoprono, ne restano delusi perché magari non è poi così offensiva – spiega ancora Bandi –. Un esempio classico sono i termini “lota” e “lutamma”, che vengono dalle scritte latine sui bagni romani “salvum lotum”, che in italiano diventa “salvato bagnato”, per cui la “lota” non è altro che il fango, mentre i ragazzi pensano chissà che sia».
 

Da quella rubrica nasce poi l’idea del libro a cura di Franco Simeri ed edito da Mea: «Uno spazio che era stato voluto da Gianni Simioli, che ha scritto anche una divertente prefazione al volume. Poi c’è un intervento di Pino Aprile, mentre le illustrazioni sono di Cinzia Fragasso». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino