«Alto, i capelli brizzolati e il fisico asciutto, Denis Carbone conservava negli occhi azzurri il segreto professionale di ogni pièsse che si rispetti: la...
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Carbone abita a Lago Patria, «un'appendice di Napoli, un posto antico e cattivo, un luogo a metà strada tra il Vesuvio e il nulla», e tutto sommato gli piace perché è «un posto dove meditare e proteggersi dal casino della metropoli, per quanto in mezzo al degrado». E in gran parte il romanzo si gioca praticamente tra i due poli opposti della città: la periferia anonima, e Posillipo, dove «i ricchi crescevano e si godevano i loro soldi, ma poi morivano per il troppo benessere o per i troppi vizi», un quartiere «refrattario alla verità, e forse anche alla giustizia». Proprio lì, a Posillipo, ha origine la storia, con la morte di Ester Fornario, una ricca vedova quarantenne precipitata dalla torretta merlata della sua favolosa villa piena di cose preziose (tra cui un Pollock). Carbone indaga coi suoi metodi, cioè sostanzialmente senza alcuna autorizzazione. Capisce che ai suoi superiori preme nascondere qualcosa, e trova come uniche sponde un vecchio giornalista emarginato perché aveva infastidito politici e colleghi, e soprattutto il suo vecchio capo che, come lui, ha avuto problemi di carriera ed è costretto a starsene defilato a Roma e ora comunica con lui in segreto. Per farvela breve, Carbone scoprirà che dietro la morte di Ester c'è un verminaio di perversioni sadomaso, di orge e festini e di persone sparite, in cui sono coinvolti alti papaveri degli apparati di sicurezza. Gente con ben pochi scrupoli, che difatti semina il terreno di morti e prova anche a levare di mezzo il coriaceo Denis, e per poco non ci riesce: l'ispettore uscirà miracolosamente ancora vivo da un pauroso speronamento in auto e soprattutto da una iniezione di cognac piantata direttamente nella carotide.
Di più non posso rivelare. Dirò invece che tutta la storia è narrata con piglio asciutto e nervoso, spesso, anzi, angosciosamente adrenalinico. Non disdegna gli effetti splatter e si avvale di una colonna sonora che va da Jaco Pastorius a Coltrane, «melodie acide» perfettamente in sintonia con gli stati d'animo del protagonista. Petrella, ancora una volta, stupisce per la capacità, che dimostra, di giocare sui più disparati terreni narrativi, in oltre un decennio di lavoro che l'ha portato via via dagli esordi noir/punk a sperimentare una specie di new italian epic dei quartieri alti e dei movimenti giovanili, poi al peplum novel e al thriller internazionale tecnologico-politico. A riprova di una ispirazione sempre generosa, onnivora e inquieta, che è la sua cifra più caratteristica.
maildurante@gmail.com
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Il Mattino