«Papà, ti voglio bene»: nello Spazio Giallo del carcere disegni e lettere dei bimbi ai genitori detenuti

«Papà, ti voglio bene»: nello Spazio Giallo del carcere disegni e lettere dei bimbi ai genitori detenuti
Un albero con foglie di colore rosso e il tronco nero. Una casa dove sono impressi i nomi di tutti i componenti del nucleo familiare. O un semplice «ti voglio bene»...

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Un albero con foglie di colore rosso e il tronco nero. Una casa dove sono impressi i nomi di tutti i componenti del nucleo familiare. O un semplice «ti voglio bene» come dedica al papà che vive dietro le sbarre. Sono alcune delle creazioni artistiche realizzate dai minori figli dei detenuti (molti sono boss o affiliati) nel carcere di Secondigliano all’interno del cosiddetto Spazio Giallo, una stanza dedicata ai genitori reclusi e ai loro figli. Un percorso di accoglienza attivo dal 2016, grazie all’associazione Bambinisenzasbarre di Milano, che aiuta i bambini a orientarsi e ad attenuare l’impatto con l’ambiente potenzialmente traumatico del carcere e offre loro possibilità di non perdere il legame affettivo con il padre in cella. Il progetto, coadiuvato da Lia Sacerdote, presidente dell’associazione e sostenuto dalla Fondazione Altamane Italia, ha visto un incremento di piccoli utenti nei giorni precedenti la Pasqua: circa 50 sono stati i bambini che hanno varcato le porte del penitenziario per incontrare i genitori detenuti. «Il venerdì santo - spiega l’artista counselor Daniela Morante, dell’associazione Ars Fluens - abbiamo accolto una cinquantina di minori dai 2 ai 16 anni, che hanno dipinto a quattro mani insieme ai papà, a cui hanno anche scritto lettere per Pasqua. Il progetto è fondamentale per il recupero del rapporto padre-figlio. In particolare lavoriamo sulla rabbia che spesso manifestano questi bimbi data la situazione che vivono in famiglia e sull’affettività».


Ma quali sono le varie fasi d’intervento volte al recupero di una sana genitorialità? Lo Spazio Giallo (luogo di prima accoglienza, allestito nella sala d’attesa del carcere); il laboratorio di pittura arte-terapeutico (dove i bambini dipingono in coppia con i padri); e gli incontri di ascolto per i soli padri. Qui la Morante, insieme ad un’equipé formata da psicologo, assistente e tirocinanti dell’Università Suor Orsola Benincasa, accoglie i bambini per prepararli all’incontro con il genitore detenuto e poi partecipare al tavolo di pittura, in coppia con il genitore, al di fuori della presenza materna. I bambini e i papà hanno così la possibilità di esternare, nel linguaggio muto del segno e del colore, ansie, paure e mancanze. «In questo modo il carcere - dicono gli operatori - diventa per i bambini un appuntamento piacevole e non più un luogo che incute timore». 

L’Amministrazione carceraria, così come gli educatori interni e il personale della polizia penitenziaria, hanno sposato la causa: «il loro consenso ha permesso di estendere il beneficio delle attività a tutto il contesto penitenziario, creando un clima di distensione ed armonia laddove spesso, c’è odio e tristezza». 


L’associazione Bambinisenzasbarre fa parte della rete di associazioni europee Cope (Children of Prisoners Europe) ed ha firmato nel 2014 con il ministero di Giustizia e l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza la Carta italiana dei diritti dei figli dei detenuti, volta a trasformare i bisogni di questi minori in diritti. «L’Italia è il primo Paese che ha siglato questa Carta - afferma la Sacerdote -. Una firma ed un segno forte per i 100mila figli di genitori detenuti è uno strumento radicale che trasforma il bisogno del mantenimento del legame affettivo in diritto, liberando questi minorenni da una colpa non loro». 

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Il Mattino