Un albero con foglie di colore rosso e il tronco nero. Una casa dove sono impressi i nomi di tutti i componenti del nucleo familiare. O un semplice «ti voglio bene»...
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Ma quali sono le varie fasi d’intervento volte al recupero di una sana genitorialità? Lo Spazio Giallo (luogo di prima accoglienza, allestito nella sala d’attesa del carcere); il laboratorio di pittura arte-terapeutico (dove i bambini dipingono in coppia con i padri); e gli incontri di ascolto per i soli padri. Qui la Morante, insieme ad un’equipé formata da psicologo, assistente e tirocinanti dell’Università Suor Orsola Benincasa, accoglie i bambini per prepararli all’incontro con il genitore detenuto e poi partecipare al tavolo di pittura, in coppia con il genitore, al di fuori della presenza materna. I bambini e i papà hanno così la possibilità di esternare, nel linguaggio muto del segno e del colore, ansie, paure e mancanze. «In questo modo il carcere - dicono gli operatori - diventa per i bambini un appuntamento piacevole e non più un luogo che incute timore».
L’Amministrazione carceraria, così come gli educatori interni e il personale della polizia penitenziaria, hanno sposato la causa: «il loro consenso ha permesso di estendere il beneficio delle attività a tutto il contesto penitenziario, creando un clima di distensione ed armonia laddove spesso, c’è odio e tristezza».
L’associazione Bambinisenzasbarre fa parte della rete di associazioni europee Cope (Children of Prisoners Europe) ed ha firmato nel 2014 con il ministero di Giustizia e l’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza la Carta italiana dei diritti dei figli dei detenuti, volta a trasformare i bisogni di questi minori in diritti. «L’Italia è il primo Paese che ha siglato questa Carta - afferma la Sacerdote -. Una firma ed un segno forte per i 100mila figli di genitori detenuti è uno strumento radicale che trasforma il bisogno del mantenimento del legame affettivo in diritto, liberando questi minorenni da una colpa non loro».
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Il Mattino