Hanno trovato la «cassaforte», che non era uno scrigno fisicamente a disposizione, ma un posto segreto, recondito, nascosto in una cartella interna al proprio...
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LA SVOLTA
Indagini concluse, venti giorni in attesa di memorie difensive, prossima la richiesta di rinvio a giudizio. Agli atti anche una cartella di fotografie e di indirizzi telematici di siti internet da visitare, che basterebbe da sola a calare pesanti sospetti sulla professionalità del terapista. La cartella si chiama «cassaforte» ed è una sorta di buco nero della psicologia umana. È qui che sono state trovate foto di bambine, di teenager, di ragazzine under 14, tutte seminude. O meglio: vestite solo delle mutandine, un chiodo fisso per E.G., che immortalava le sue pazienti sempre nelle stesse pose e con lo stesso abbigliamento.
Difeso dal penalista Domenico Buonincontro, E.G. respinge le accuse, nega di essere un pedofilo e si dice pronto a dimostrare la correttezza del proprio lavoro. Nel corso di un interrogatorio reso prima di essere stato arrestato, fece riferimento alla «terapia del solletico» per giustificare quanto emerso dalle immagini acquisite dalla Procura, negando atteggiamenti morbosi e molesti verso le sue pazienti.
Dallo scorso agosto, il terapista è agli arresti domiciliari, sulla scorta di una denuncia firmata da una donna, la mamma di una delle tre bambine vittime delle molestie, in una vicenda che si è via via arricchita anche di altri tasselli. Tra questi, un video ricavato grazie a una telecamera nascosta all’interno della sala usata per le terapie cui venivano sottoposte le piccole pazienti. Fatto sta che da alcune immagini, secondo l’accusa, sarebbero emersi episodi di molestie consumate ai danni di una delle tre parti offese individuate.
In un altro caso di violenza, invece, resta centrale il racconto di un’altra bambina, che ha confermato di essere stata indotta a subire palpeggiamenti. Poi c’è la storia delle foto, quelle scattate ai danni di una terza bambina. È il primo agosto scorso, quando la piccola viene fotografata. Anche in questo caso siamo nel pieno della cosiddetta «terapia occupazionale», nel chiuso di una stanza che non è videoprotetta e che non è accessibile ai genitori dei piccoli pazienti. Foto ricavate con il cellulare privato, foto che - secondo la Procura di Napoli - non avrebbero alcun carattere scientifico.
GLI SCATTI
Ma il quadro si arricchisce dei particolari emersi dall’accesso remoto del cellulare personale di E.G., lo stesso con il quale il terapista avrebbe scattato foto morbose di una delle tre pazienti. Fatto sta che in una cartella erano conservate immagini «di adolescenti nude e in atteggiamenti sessuali»; in un’altra cartella i percorsi informatici che portavano a immagini pedopornografiche, oltre alla visualizzazione tramite il motore di ricerca google di decine di adolescenti nude o coperte solo dalla biancheria intima. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino