Deve essere un omaggio al frutto più bello di novembre, questa ossessione dell’arancione, che ormai imperversa nell’allerta meteo come la tonalità...
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Insomma, se le nubi sembrano nere, se il maltempo sembra aggressivo, se le previsioni sono minacciose, ma non v’è certezza - perché chi dà certezze al giorno d’oggi? - tra la guardia bassa e quella alta, scegliamo l’arancione, questa santa via di mezzo che alla fine a chi dà fastidio?
È il colore che accontenta tutti, l’allerta che mette d’accordo ogni ufficio, l’allarme che non allarma. Perché se è vero che qua nisciuno è fesso è anche vero che un arancione, alla fine, non ha mai fatto male a nessuno. Nel dubbio assolvere, dicevano i giuristi romani. Nell’incertezza, arancione, sembrano dire i nostri angeli custodi, quelli che studiano le previsioni, scrutano le mappe geologiche, valutano le condizioni delle città, aprono o chiudono le scuole e i parchi, e diramano l’allerta, che a volte è gialla, raramente è rossa, ma per tagliare la testa al toro, il più delle volte, è arancione. Dovevano venire giù le bombe d’acqua, ieri, addirittura con un orario di massima fissato per le ore dodici. Testa in su. Ma dal cielo è scesa poca roba. Un temporale durato soltanto venti minuti.
Non abbastanza per fermare le lezioni, come solennemente si è invece disposto (anche per oggi), con grande gioia di studenti e insegnanti, e una reazione analoga e contraria, nelle città dove i sindaci non hanno ritenuto di dare lo stop, con la sequenza di impressionanti insulti sulle bacheche social.
A dimostrazione che questa storia degli allarmi meteo, delle previsioni del tempo, che questo siparietto surreale del giallo, del rosso e dell’arancione, del chiudo/non chiudo si sta trasformando in una opera buffa, con una generale e pericolosa perdita di credibilità delle istituzioni. “Le precipitazioni e i temporali potrebbero dar luogo a un rischio idrogeologico diffuso e quindi a instabilità di versante, frane superficiali e colate rapide di detriti o di fango”, si legge nella nota della Protezione civile. Il segreto è tutto in quel condizionale: potrebbero dar luogo. Che significa tutto e niente. O meglio: io ti ho avvisato, poi vedi tu come ti devi mettere. Sembra l’antico gioco del cerino. Così i sindaci più coraggiosi sfidano la sorte, e anche gli insulti degli studenti, tenendo le scuole aperte. Quelli che vogliono stare tranquilli, passano le carte e attaccano il ciuccio dove dice la Protezione civile. Cioè, al palo arancione.
Ma non è una sconfitta chiudere una città intera perché il maltempo potrebbe o non potrebbe determinare disagi o pericoli? Poi un giorno qualcuno, magari dopo aver passato qualche settimane nei Paesi del Nord Europa, ci spiegherà perché con pioggia e temporali, e perfino con raffiche di vento, si debba fermare la vita di una comunità, come se gli eventi climatici d’autunno fossero una sorta di accanimento del destino, di sbocco immutabile, e non una fisiologica stagione a cui – entro certi limiti, e noi non li superiamo mai - adattarsi. Ma qui ormai parliamo del lusso impossibile, anche solo ad auspicarlo, di una città normale, che magari sa scegliere tra il giallo di un pericolo affrontabile e il rosso di un pericolo reale, invece di rifugiarsi sempre sotto il grande manto arancione dell’incertezza. Eppure l’arancione non è un colore vigliacco ma denso. Nell’araldica indica la generosità, nel cristianesimo è simbolo della gola, in politica è il colore della rivoluzione pacifica; gli antichi romani ci facevano gli abiti nuziali, nell’induismo è l’elevazione spirituale mentre nella cromoterapia, l’arancione cura perfino la depressione. Di sicuro a Napoli è il colore del quieto vivere. Bomba o non bomba, chiuderemo le scuole, canterebbe oggi Venditti. Piove o non piove, alziamo bandiera arancione. E stiamo tutti più tranquilli.
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Il Mattino