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Anche se non è usuale, vorrei ritornare sui temi di politica ambientale già trattati nel mio articolo di domenica, sui risultati delle misure fino ad ora adottate e, di conseguenza, sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica che, con un forte impegno finanziario, noi europei ci siamo lodevolmente proposti. Purtroppo non sono stato pessimista nonostante gli impegni presi in tanti summit mondiali sull’impiego delle fonti fossili negli ultimi vent’anni.
Esso, escludendo il 2020, anno del Covid in cui si è fermato il mondo, è rimasto allo stesso altissimo livello (80%), mentre le nuove rinnovabili (eoliche e solari) sono ferme al 2%. Perfino nella produzione di energia elettrica, dove si è concentrato lo sforzo delle rinnovabili, le fonti fossili contano per il 64% contro il 65% del 2000. Negli ultimi mesi, inoltre, le massime autorità mondiali in materia, come l’International Energy Report e l’Agenzia di Parigi, scrivono in modo unanime che il gap tra dove siamo e dove dovremmo essere sta aumentando e che si sono create le premesse perché nessuno degli obiettivi proposti possa essere raggiunto. Il problema è particolarmente serio per l’Italia perché, negli scorsi anni, abbiamo speso l’enorme somma di 130 miliardi di euro in sussidi per passare al rinnovabile.
Una prevalente parte di queste risorse, peraltro non gestite in modo ottimale, è stata impiegata per l’acquisto di pannelli solari cinesi o di pale eoliche di provenienza estera. Abbiamo fatto quindi un lodevole sforzo per l’ambiente ma, non essendo stato accompagnato da una strategia industriale, il nostro impegno non è stato compensato da un parallelo progresso delle strutture produttive italiane.
Teniamo presente, a questo proposito, che la transizione energetica comporta, con l’impiego di enormi risorse, un radicale cambiamento dei nostri prodotti e dei nostri modi di produrre. Il nuovo (a partire dalle batterie) si sta dirigendo verso la Germania e la Francia. Ci attendiamo perciò che i responsabili politici dell’ambiente e dell’industria italiana uniscano in un’unica strategia le nostre strutture di ricerca e di produzione, per giocare finalmente un ruolo attivo, almeno a livello europeo, nel campo delle nuove fonti di energia e nei nuovi modi di produrre. I fondi della Next Generation Eu dovrebbero infatti essere destinati a garantire il futuro della prossima generazione.
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