Non solo usura, non solo prestiti a strozzo. No, la camorra dell’era covid ha fiutato il business e ha cambiato strategia. È pronta ad immettere capitale sporco...
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A Napoli esiste una economia «parallela, molto competitiva», si legge nella relazione semestrale, «che si accredita verso la popolazione come unica fonte di reddito, mettendo in circolo soldi non necessariamente a tassi usurari». Ma in che modo avviene l’abbraccio tra economia pulita e strategia criminale? «Assicurando protezione e sostegno alle classi sociali più povere e alle imprese in difficoltà, i clan ottengono credito e la disponibilità, al presentarsi dell’esigenza, di poter ricevere sostegno, manovalanza e accessibilità a strutture e a professionalità imprenditoriali. Tale situazione potrebbe ulteriormente accentuarsi per gli effetti della pandemia dovuta al Covid 19, che ha colpito l’Italia dai primi mesi del 2020, impattando su un sistema economico regionale già sofferente». È un problema di welfare, di stato sociale, di assistenza dei più deboli, che - di fronte alle difficoltà dello Stato - vede la camorra primeggiare. E al di là dell’esigenza di ripulire capitali sporchi, c’è anche un problema di consenso, di fronte alla delicata stagione elettorale che abbiamo all’orizzonte.
Scrivono gli analisti della Dia: «In Campania, pertanto, le endemiche sacche di povertà e la ridotta possibilità di disporre di liquidità finanziaria potrebbero ulteriormente rafforzare il ruolo delle organizzazioni criminali come welfare alternativo allo Stato e punto di riferimento sociale. A una fascia di popolazione tendenzialmente più povera, se ne andrebbe ad aggiungere un’altra, che inizia a “percepire” lo stato di povertà cui sta andando incontro. In tal senso, mettendo “in circolo” gli ingenti capitali accumulati con le tradizionali attività illecite, i clan potrebbero consolidare nel territorio il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo (da capitalizzare, ad esempio, anche in occasione di future competizioni elettorali), elargendo prestiti di denaro - non necessariamente a tassi usurari - a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, creando i presupposti per fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare, a loro volta, strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti».
Altro dato indicativo della capacità di infiltrare soldi sporchi nel tessuto economico è ben evidenziato dai numeri dei beni sequestrati e confiscati. Attualmente in Campania, sono in corso le procedure per la gestione di 2.360 immobili confiscati, mentre altri 2.623 sono già stati destinati. Sono, altresì, in atto le procedure per la gestione di 570 aziende, mentre 234 sono state già destinate. Si tratta di abitazioni, terreni, imprese edili, strutture ricettive e attività commerciali. E al di là delle infiltrazioni negli appalti e nei lavori pubblici, la droga resta il business numero uno, con la capacità dei clan di esportare e vendere anche in Lazio, Toscana e altre regioni del nord Italia. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino