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Operare l’Italia del Covid in laparoscopia con l’anestesia ridotta al minimo indispensabile o aprire il corpo del paziente e prevedere una lunga convalescenza?
Oggi probabilmente verrà superata la soglia psicologica dei ventimila casi giornalieri (circa 17mila se togliamo i tamponi ripetuti più volte alla stessa persona). La situazione è seria, ma non paragonabile con quella di marzo.
In Lombardia i ricoverati in terapia intensiva erano 1600 a marzo e 1400 ad aprile. Ieri erano 184 su 990 posti disponibili.
In tutta Italia i ricoverati in questi reparti sono 1049. Il 4 maggio, giorno della riapertura dopo due mesi di lockdown, erano 1487. E’ vero che allora i numeri erano in discesa e oggi sono in salita, ma bisogna ragionare con calma. Il 95 per cento delle persone che si presentano al pronto soccorso potrebbero essere curate a casa. Vanno lì perché a molti medici di base basta la febbre a 38 per spedirceli. Questo non può accadere. L’83 per cento delle persone che muoiono avevano tra le due e le tre patologie gravi (cardiopatie, tumore, diabete, obesità importante). Sono queste le persone di cui prendersi la massima cura. Occorre intervenire chirurgicamente su assembramenti e movide. Migliorare i trasporti. Ma prima di parlare di chiusure generalizzate, occorre fare attenzione ai costi che questo comporterebbe. Abbiamo i soldi per ripagare tutti? Già adesso, senza le chiusure, è scontato l’aggravarsi della crisi socioeconomica all’inizio dell’anno prossimo. Quale rivolta sociale dovremmo attenderci dove si chiudesse tutto tranne l’ “indispensabile”?
La vera scoperta di questi mesi è che a 50 anni dalla istituzione delle regioni, stiamo scoprendo all’improvviso di essere uno stato federale che fa impallidire i land tedeschi, più autonomi delle regioni italiane, ma nell’era Covid controllati con mano ferma dalla Merkel. L’agitarsi scomposto di questo e di quello crea un panico difficile da gestire. Ma per capire come funziona questa autonomia chiedete al commissario Arcuri i tempi proposti dalle regioni a luglio per mettere in funzione i nuovi apparecchi da terapia intensiva. La media è stata 27 mesi. Tre regioni del centrosud hanno chiesto sei mesi. Una 87 mesi. Poi è cambiata la procedura e Arcuri ha assicurato che in poco tempo i posti in terapia intensiva saliranno dai 6832 attuali a 9588…
Il Mattino