Covid a Napoli, caos regole per i negozi: così i bazar cinesi bypassano i divieti

Covid a Napoli, caos regole per i negozi: così i bazar cinesi bypassano i divieti
Vendono di tutto alcuni bazar cinesi, restano chiusi maestri del presepe, artigiani e negozi di abbigliamento made in Italy. È un effetto del cortocircuito nel mercato...

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Vendono di tutto alcuni bazar cinesi, restano chiusi maestri del presepe, artigiani e negozi di abbigliamento made in Italy. È un effetto del cortocircuito nel mercato dei consumi della zona rossa: nei fatti, a un mese dalle festività, va in scena una disparità di trattamento tra le attività commerciali  fermate dal dpcm anti-Covid - come le botteghe dei presepi a San Gregorio Armeno e molti marchi di moda per adulti - e quelle lasciate aperte. Su tutte, per quantità, alcuni empori cinesi, che vendono al pubblico pastori e vestiti anche in queste ore: Re Magi e presepi, mantelle e sciarpe. Visti i divieti, nei negozi asiatici, dove si vende un po’ di tutto, gli scaffali dedicati al Natale e non solo sono sbarrati dal nastro biancorosso che segnala l’area proibita, ma basta allungare la mano oltre il nastro, afferrare il pastore o la confezione di palline colorate e andare alla cassa per acquistare senza obiezioni. I gestori fanno finta di niente e vendono tutto. Come testimoniano foto e scontrini, 4 empori cinesi su 4 sparsi in altrettante zone della città, ieri ci hanno venduto gadget natalizi e abbigliamento: statuina, sciarpa, albero, ghirlanda, mantella.

In un bazar asiatico in via Diocleziano, dai nastri biancorossi degli scaffali di decorazioni natalizie e tovaglie pende la scritta “area non in ventida” (con tanto di errore ortografico). Ma nei fatti le cose non vanno così. Il virus e il cortocircuito burocratico del dpcm - che lascia aperte certe zone dei negozi e ne vieta altre - favoriscono il mercato in stile asiatico, quello dei grandi empori in cui si vende praticamente ogni articolo, dall’abbigliamento alle decorazioni. È il paradosso del Natale 2020, con le botteghe napoletane storiche sbarrate tra i vicoli stretti di San Gregorio, al contrario degli esercizi con lanterna rossa. Il primo acquisto lo facciamo in zona collinare, in via Nicolardi. Il nastro biancorosso copre gli scaffali degli addobbi, ma l’accesso è tutt’altro che vietato, come dimostra il cenno di via libera del titolare. Prendiamo un festone rosso, una ghirlanda con i campanellini e, tra i tanti pastori esposti, la statuina di Baldassarre. Costo: 5.50 euro. Qui, nel pomeriggio, acquistiamo anche una mantella da donna e una sciarpa tra gli scaffali con il nastro. Costo totale: 16,30 euro. Si paga col pos, poi via verso un altro emporio in via Bernardo Cavallino all’Arenella, dove compriamo un albero e un pacco di palline gialle. Costo 12 euro. Il terzo store è in via Nuova Bagnoli. Qui all’esterno si legge un foglio che elenca gli articoli non vietati: «Puoi vendere - si legge - Giocattoli, articoli per igiene della persona, ferramenta, materiale elettrico, cosmetici e profumi, cartoleria e cancelleria, articoli sportivi, giardinaggio, animali». All’interno c’è il solito nastro intorno agli scaffali del Natale, ma nessun problema per l’acquisto di due confezioni di palline da 1.70 euro totali. La scena si ripete identica al Vomero, in vico Acitillo, dove compriamo due cuoricini natalizi per 1.20 euro.

Se, quanto a presepi e pastori, la situazione avvantaggia in queste ore un Natale made in China a Napoli, è giusto precisare che alcune mercerie a gestione napoletana espongono casacche e tute, che sarebbero vietate dal dpcm, al contrario di capi intimi e abbigliamento per l’infanzia. Va aggiunto inoltre che le decorazioni natalizie sono acquistabili anche in bazar italiani, che restano comunque in netta minoranza rispetto a quelli asiatici. «La crisi è grave - dice un commerciante partenopeo in via Bernardo Cavallino che ci ha appena venduto alberello e palline - Se non ci fanno vendere devono venire a chiuderci, a San Gregorio hanno chiuso per evitare assembramenti, ma qui non c’è pericolo». «Per le feste di Pasqua non ci fecero allestire», aggiunge la moglie dietro al bancone. Insomma, vista la fitta burocrazia del dpcm, molti commercianti di negozi ibridi fanno fatica a capire cosa vendere e cosa no.



La liberalizzazione del commercio ha obbligato il governo a chiudere i negozi attraverso i codici Ateco e non attraverso le licenze delle attività. Questo fattore rende ancora più caotiche le regole in zona rossa. La lista dei cortocircuiti del commercio si fa sempre più lunga e nuove disparità tra categorie emergono ogni giorno: «Gli orafi chiedono come mai i compro oro siano aperti e i gioiellieri no - spiega Pasquale Russo, direttore di Confcommercio Campania -Nessuno controlla che i compro oro non si dedichino anche alla vendita al pubblico, che sarebbe proibita. In questo caos, i negozi che vendono merci di vario genere, come quelli di matrice cinese, spesso non si limitano a vendere solo quello che è concesso dal dpcm, ma anche prodotti vietati dalle norme prescritte per il commercio in zona rossa».


 

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Il Mattino