OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
«In Francia? Sì, i teatri sono aperti, ma soltanto di pomeriggio, perché c’è il coprifuoco alle 21».
E la situazione è più grave che in Italia.
«Certo, ci sono tra i 30.000 e gli oltre 50.000 casi al giorno».
E, dunque, perché chiudere le sale di spettacolo qui da noi? La domanda aleggia nell’ampio, austero ufficio di Stéphane Lissner, ai piani alti del San Carlo. Oggi il luogo eletto della musica è volumetria di silenzio; preda di ombre virali e cupezze oscurantiste.
Positivi al Covid-19 anche da voi, sovrintendente Lissner?
«Sì. Scoperti quattro giorni fa».
Quanti? E in quali reparti?
«Tra orchestra, coro, corpo di ballo e alcuni amministrativi, sono una dozzina».
E che cosa avete fatto? Che cosa farete?
«Li abbiamo messi in quarantena e ho disposto tamponi per tutti i dipendenti, poco più di 300. Chi risulterà negativo, tornerà a lavorare. Per quanto possibile, non fermeremo l’attività. Intanto, chiuderemo il teatro per una decina di giorni. E faremo una nuova sanificazione. Resterà in servizio soltanto il personale indispensabile, come gli addetti al botteghino, per dare informazioni, e quelli alla sorveglianza».
Torniamo alla domanda iniziale: perché chiudere teatri e cinema in Italia? Perché farlo in sale che rispettavano la distanza, la sanificazione, i numeri, voi avete persino messo il plexiglass a dividere i posti?
«Dobbiamo guardare i fatti... come dire... con una certa nuance».
Certo, il mondo non è fatto di bianchi e di neri, ma di infiniti grigi.
«So che la decisione è stata presa per la salvaguardia del pubblico».
Ma i teatri e i cinema sono tra i luoghi più sicuri.
«È vero.
I teatri e i cinema chiusi. Le chiese, però, restano aperte, ha fatto notare Walter Veltroni.
«Ma nelle chiese non ci sono lavoratori come nelle sale di spettacolo. E, poi, è il governo che deve assumersi le proprie responsabilità. Lo ha fatto con le scelte che conosciamo. Quando tutto sarà finito, sapremo se ha agito bene oppure male».
Dunque, è d’accordo con la chiusura?
«Ma no. Non dico di essere d’accordo o in disaccordo. Ripeto: la responsabilità spetta al governo. E ogni Paese agisce come ritiene meglio».
Se fosse il premier, lei chiuderebbe?
«Non sono il primo ministro».
Il San Carlo. Cosa accadrà dopo questi dieci giorni?
«La stagione è sospesa. Speriamo di ricominciare il 25 novembre. Se così fosse, confermo l’apertura del cartellone lirico il 4 dicembre e, ovviamente, i concerti».
L’appuntamento con Riccardo Muti con l’orchestra del teatro l’8, 10 e 11 novembre con prova generale aperta il giorno 7 agli studenti del conservatorio? Quei concerti erano attesissimi.
«Cancellati, per il momento. Ma, virus permettendo, come le ho detto, non ci fermeremo. Stiamo organizzando alcuni eventi da registrare e trasmettere in streaming».
Quali?
«“Le quattro stagioni” di Vivaldi con il balletto; la “Petite messe solennelle” di Rossini con il coro; quanto all’orchestra, il direttore Juraj Valčuha si è offerto di dirigere alcuni concerti rinunciando al proprio compenso».
I dipendenti, ora.
«Questo è l’aspetto più importante, perché vivono da mesi in condizioni molto complicate. Dunque, innanzitutto, bisogna dar loro la garanzia di continuare a ricevere lo stipendio. Questo è fondamentale. In teatro gli artisti non potrebbero esprimersi senza il lavoro di scenografi, costumisti, attrezzisti, elettricisti, direttori di scena, coristi, orchestrali, ballerini... e noi abbiamo il dovere di proteggerli non solo economicamente, ma anche psicologicamente».
Comunque, è desolante il silenzio greve che si percepisce entrando nel tempio della musica.
«Sì, ho addosso una... pesante tristezza. I teatri chiusi sono un pessimo segnale per il pubblico. La cultura è cemento sociale; è strumento per riflettere insieme sul mondo di oggi. Purtroppo, le nostre ragioni sono una cosa, la situazione - la realtà - un’altra».
Leggi l'articolo completo su
Il Mattino