Da Netanyahu a Trump cosa incide il voto in Israele

Da Netanyahu a Trump cosa incide il voto in Israele
Il voto di oggi in Israele per rinnovare la Knesset (il Parlamento israeliano, ndr.) è strategico e significativo per molteplici ragioni. ...

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Il voto di oggi in Israele per rinnovare la Knesset (il Parlamento israeliano, ndr.) è strategico e significativo per molteplici ragioni.

La prima, è che segnala una discontinuità del sistema politico israeliano tanto forte da essere quasi una rottura. Queste elezioni infatti sono state imposte da Netanyahu con una legge di autoscioglimento, imposta dopo soli pochi mesi ai neo deputati. Autoscioglimento voluto per non veder assegnare dal presidente della Repubblica Rivlin l’incarico di formare il nuovo governo a qualcun altro, dopo il pareggio 35 seggi a 35 lo scorso febbraio tra Netanyahu e il suo sfidante di Kahol Lavan (“blu e bianco” in ebraico, ndr.), l’ex generale Benny Gantz. Seguito dalla crisi interna alla ex maggioranza tra Netanyahu e il laico Lieberman, contrario al crescente strapotere dei partiti ultrareligiosi ortodossi. Se infatti in Italia abbiamo avuto un pazzo agosto dal punto di vista politico, con l’inedita formazione non solo di un governo balneare ma addirittura di una nuova maggioranza politica, in Israele la discontinuità non è stata minore. 
La seconda ragione è invece conseguenza della prima. Dopo l’autoscioglimento le elezioni si sono infatti trasformate – anche per i crescenti guai giudiziari di Netanyahu e comunque il suo declinare dopo venti anni di egemonia – in un referendum personale su “ken” o “lo” (“sì” o “no” in ebraico) a Netanyahu. Se perde esce di scena, e passerà il tempo restante a gestire il suo tramonto anche dal punto di vista giudiziario. Se invece vince, trasformerà il perimetro della democrazia israeliana e con esso anche quello della politica occidentale. Perché Israele è “l’occidente dell’occidente” come sorgente di cultura politica, e ciò che succede qui – come dimostra il lungo ciclo neoconservatore che ha in Netanyahu il demiurgo e l’organizzatore – ha poi grandi riflessi e conseguenze in tutta la politica occidentale. 
Se quindi la rottura e l’impasse dopo le elezioni di febbraio verranno confermate, come è stato in Italia, dall’inizio di un nuovo ciclo politico, le conseguenze saranno grandi sia in Israele sia in tutto l’’occidente. Perché Netanyahu è stato il pioniere di quella larga coalizione delle destre occidentali – più larga di quella di sinistra, priva di Obama – che saldando sovranisti, neocon e suprematisti bianchi ha portato Trump alla vittoria e i sovranisti all’arrembaggio in Europa. Un capolavoro politico, perché con il collante dell’islamofobia a tenere il tutto, Netanyahu è riuscito a far convivere i sovranisti europei in una coalizione politica sovranazionale – una contraddizione in termini – e a mettere in secondo piano l’antisemitismo loro e dei suprematisti bianchi americani e europei. Grazie anche al sigillo di “garanzia” di essere capo di Israele, centro dell’Occidente anche per l’esclusivo sigillo di legittimità che solo questo paese può apporre dopo la Shoà a tutto ciò che parla di antisemitismo e di razzismo in generale. A cui Netanyahu ha aggiunto anche quello dell’antiterrorismo, anche per le sanguinose gesta di Hamas e dei suoi kamikaze contro civili israeliani inermi con la seconda Intifada contemporanea all’11 settembre. 
Il risultato di oggi dunque ci dirà se questa deriva identitaria e tribale continuerà in Israele, tanto da mutarne i caratteri della democrazia. Perché oggi si decidono in Israele i perimetri dello Stato - se debbano coincidere con quelli ebraici, oppure se Israele è sì Stato ebraico ma anche democratico, e dunque con uno spazio per le sue minoranze non ebraiche, a partire da quella araba-mussulmana e cristiana - per finire a quella drusa, non a caso schierata in blocco con Kahol Lavan. 

E questo deciderà anche la forza politica della coalizione delle destre occidentali. E dunque indebolirà o darà nuova linfa a Trump. E smentirà o confermerà – allargandole – quelle crepe nella sua tenuta che in Italia abbiamo visto ad agosto, ma che si sono manifestate anche con le difficoltà di Boris Johnson, la formazione infine del nuovo governo spagnolo, e i nuovi assetti comunitari e il dopo voto europeo.
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Il Mattino