Deriva M5S, il Pd sceglie di allearsi con il caos

Deriva M5S, il Pd sceglie di allearsi con il caos
Si può sempre dire che l’uva è acerba. Che l’alleanza fra Pd e Cinque Stelle non è ancora giunta al punto giusto di maturazione, e che per questo...

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Si può sempre dire che l’uva è acerba. Che l’alleanza fra Pd e Cinque Stelle non è ancora giunta al punto giusto di maturazione, e che per questo non spuntano candidature unitarie nel «campo largo» del centrosinistra. Il quale campo si definisce largo, a quanto pare, perché non si capisce bene in che modo tirare le linee che ne delimitano lo spazio,. Ma questo è altro e più grande problema.

Intanto, la gatta da pelare sono le elezioni amministrative dell’autunno, e le città – prima fra tutte Roma, naturalmente – in cui Pd e Cinque Stelle non riescono a fare sintesi. È un bell’impiccio. A Roma ora si spera di poter convergere al secondo turno, ma non sarà facile, per il Pd, fare campagna elettorale. Tanto più che c’è Calenda in campo, pronto a raccogliere il voto di chi dà un giudizio negativo sull’amministrazione uscente.

Una scomoda manovra a tenaglia, peccato per i democratici che ci son finiti dentro: se della Raggi pensi bene, allora voti Cinque Stelle; se pensi male, allora perché mai dovresti votare quelli che al secondo turno con i grillini si apparenterebbero volentieri, tanto più che in Regione Lazio dem e grillini governano già insieme?

Un motivo ci sarebbe, in realtà, per gli elettori del centrosinistra: perché quegli altri, i Cinque Stelle, non si capisce più cosa siano. Davvero. L’ultima, letta appena ieri, è che in Sicilia han preso a ragionare del Ponte sullo Stretto, che credo sia l’opera strategica la più lontana possibile da un qualunque punto di vista grillino. 

E invece eccolo lì, il sottosgretario alle Infrastrutture del Movimento Cinque Stelle, Giancarlo Cancelleri, che ora, convintamente, ci crede. Crede nella fattibilità del Ponte che fino a ieri era ritenuto uno spreco insensato di proporzioni monumentali. Chapeau.

Se nel Movimento Cinque Stelle la situazione è così fluida – a esser gentili; a esser chiari si direbbe invece caotica – quel che non si capisce è perché il Pd si ostini a dichiarare grandi propositi strategici. A promettere matrimoni prima del primo giorno di fidanzamento. È singolare, peraltro: il centrodestra è diviso al governo, ma è più avanti nel definire proposte unitarie sui territori. Il famoso campo largo del centrosinistra è invece tutto al governo, ma non riesce a raccapezzarsi a livello locale.

In realtà, vi sarebbero per il Pd tutte le condizioni per giocarsi questa partita senza alcuna subalternità nei confronti di un alleato ancora soltanto potenziale, capace con ogni evidenza di improvvisi balzi di umore, cambiamenti di rotta, retromarce impreviste. Con un elettorato in cerca d’autore, e una leadership non ancora saldamente insediatasi. E con chissà quali spine nel fianco, nel prossimo futuro, quando si capirà se i molti parlamentari in libera uscita, e personaggi assai in vista come Di Battista o Casaleggio, metteranno su qualche nuovo accrocchio.

A Napoli, le cronache dicono che, dopo che il castello romano è saltato per aria, le quotazioni del presidente della Camera Fico scendono, mentre salgono quelle dell’ex ministro ed ex rettore Manfredi. Il che in breve significa che la candidatura unitaria di Fico, nonostante tutto il suo viscerale amore per la città – Napoli purtroppo continua ad avere questa sventura, di essere sempre amata in modo sin troppo viscerale: si veda quel che è successo con l’ultimo, innamoratissimo sindaco, e ci si chieda se non sarebbe meglio nutrire finalmente un attaccamento più prosaico, più lucido, più razionale – una tal candidatura maturerebbe, o forse ormai sarebbe maturata, non per una qualche considerazione di ciò di cui la città ha bisogno, per essere bene amministrata, ma per sposare due elettorati che ancora non sanno se, come, quando e perché dovranno stare insieme.

Sicché siamo al seguente paradosso, che l’uva è davvero acerba, però il Pd fa finta che sia matura, benché non riesca poi a raccoglierne neanche un grappolo. Che lo dia a credere Conte, il quale lega il suo progetto politico a una riedizione della maggioranza che ha sostenuto il suo ultimo governo, è comprensibile e legittimo: è nel suo interesse ed è anzi il suo biglietto d’ingresso nell’agone politico. Che lo faccia invece il Pd è assai meno comprensibile, e sembra piuttosto dipendere dalla continua, infelice ricerca di scappatoie politicistiche. E dalla sfiducia sottile, che ancora serpeggia nelle file di un partito parecchio infragilito, nella capacità di parlare senza troppi timori alla società italiana. O di parlare a Roma, se si tratta di dare un sindaco alla città di Roma, e a Napoli, se si tratta di darlo a Napoli. 

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Il Mattino