Elena, Diego e l’egoismo oltre la morte

Elena, Diego e l’egoismo oltre la morte
Un uomo che si uccide è sempre una tragedia, e chiunque si tolga la vita non può essere condannato da nessun’altro, ma può solo avere la pietà di...

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Un uomo che si uccide è sempre una tragedia, e chiunque si tolga la vita non può essere condannato da nessun’altro, ma può solo avere la pietà di chi, in quanto uomo fragile come lui, gli è fratello. 


E chi potrebbe levarsi a scagliare la prima pietra sul prossimo ignorando fino a che punto il dolore, della mente o del corpo, possa spingere chiunque di noi? 

Ma se questo è vero, e lo è per chi scrive qui, tutto cambia quando chi si toglie la vita vuole toglierla anche agli altri perché lo “accompagnino” nella morte: come è accaduto già troppe volte e come accaduto ieri nella casa delle vacanze di una famiglia nei pressi di Lecco. E di fronte a un “egoismo” talmente mostruoso da spingere un padre a uccidere i due figli nel letto, strangolandoli o chissà come, ci si sente invadere da una rabbia profonda, e poi da una profonda impotenza: la sensazione davvero di non avere parole da dire, di essere ingoiati dal buio. 

La cronaca è un incubo, e sembrerebbe questa: Mario Bressi ha 45 anni, si sta separando dalla moglie, non ha problemi economici, è andato in vacanza nella sua casa in montagna, ha strangolato i figli Elena e Diego, ha scritto un messaggio alla moglie che diceva: “Non rivedrai mai più i tuoi figli”, ha mandato su Instagram una foto di se stesso con i figli con scritto: Sempre insieme, e poi si è buttato da un ponte. 

Un uomo che si uccide “portandosi” i figli nella morte non è un suicida, ma è uno che compie una strage di fronte alla quale impallidiscono persino le stragi del più atroce terrorismo. Ma forse anche questo non è abbastanza, perché c’è in questo gesto qualcosa di più oscuro, e liberarcene dicendo che si tratta di follia è troppo facile. E se invece si trattasse di cultura, cioè di un modo di pensare e sentire le cose della vita? E in questo caso di una cultura totalmente mortuaria che si fonda sull’idea di un “amore” che non è egoistico, no, ma è la manifestazione di una possessività avida e feroce? Non si manifesta forse in questa strage la cultura del possesso dei figli come se fossero un appartamento o un’automobile viventi, una cosa mia, una mia proprietà, sangue mio, ma che sono nella realtà due innocenti con tutta la vita davanti condannati a morte in quello che è un sacrificio umano? Ma la legge dei sacrifici umani in cui gli innocenti pagano per i colpevoli, o l’infamia degli imperatori che quando morivano condannavano a morte i familiari e i servi e i cani, e che poi si facevano seppellire con i morti e le stoviglie d’oro dovrebbe essere finita almeno da duemila anni! E non è possibile dire a una donna, che ha nutrito col suo corpo e con il suo amore i “tuoi” figli che sono sempre i “nostri” figli, e ha partorito i “tuoi” figli che sono sempre i “nostri” figli piangendo di dolore e di gioia, non si può gridare a quella donna “Non rivedrai più i tuoi figli” e considerare l’assassinio dei figli una vendetta! Così ci diciamo, sperando che sia vero. Eppure quella del possesso dei figli, considerati una proprietà assoluta, è una cultura che esiste, che di rado arriva a gesti estremi come quello che ha tolto la vita a Elena e a Diego, ma che ammala e avvelena e violenta le vite di molti figli, considerati come una estensione del proprio ego smisurato e come una compensazione della propria smisurata miseria interiore. E il pianto per quei bambini si strozza in gola, e provare a immaginare di stare nei panni di quella madre è un’illusione, perché ci sono dolori che vanno oltre le nostre forze e la nostra pietà. 


Quello in provincia di Lecco è un sacrificio umano compiuto nel centro stesso della nostra illusa modernità, un tenebroso rito praticato nel mezzo della civiltà contemporanea: e soffia su di noi il vento di epoche che ci piace credere scomparse, ma che sopravvivono tranquille nell’epoca del silicio trionfante. Eppure era venuto qualcuno a dire che si è padri e madri e figli e fratelli nello spirito e non nel sangue, che ognuno che cammina su questa terra è unico e insostituibile, che nessuno può considerare nessun’altro una sua proprietà, che la legge della vendetta è stata sostituita dalla legge dell’amore, e questa civiltà in cui viviamo ha costruito intorno a questa rivoluzione di duemila anni fa il suo diritto e la sua storia. E allora che possiamo fare? E allora si deve sempre ricominciare, perché nessuna civiltà dura senza il lavoro quotidiano di evolvere noi stessi, e nessuna civiltà dura se si fonda su una cultura mortuaria del possesso. Siamo creature fragili, ma è questo che ci rende umani. Ma dobbiamo ripeterci che l’orrore supremo è la volontà di potenza a spese degli altri. Ripeterci che le creature sono meravigliose perché sono diverse e uniche. E, nel silenzio più profondo, ricordare le vite innocenti stroncate, e le vite innocenti che possiamo forse aiutare, anche se solo di una briciola, anche se solo di un millimetro, ad arrivare più vive in un tempo davvero nuovo.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino