OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, nel tentativo di sottrarre la Lega al ritrovato abbraccio di Berlusconi, i Democratici di sinistra fecero approvare la riforma del titolo V della Costituzione con soli tre voti di maggioranza. Presidente dei Ds era Massimo D’Alema, che già nel ’95 aveva sdoganato la Lega come “costola della sinistra” in quanto nuovo partito operaio del Nord. Figlia di quella riforma è l’autonomia differenziata il cui embrione è stato approvato dal Consiglio dei ministri.
È l’inizio di una gestazione che sarà ben superiore ai nove mesi.
Passate le elezioni del 12 febbraio nel Lazio e in Lombardia, andrebbero deposte le armi e avviato un ragionamento di buonsenso. Giorgia Meloni ha una formazione centralista, ha doverosamente rispettato un patto di governo, ma starà bene attenta a non buttare il bambino con l’acqua sporca. È scontato che senza garantire a tutti un servizio di base efficiente in ogni campo (i famosi Lep) non si va da nessuna parte. Ma è giusto che chi ha una marcia in più possa correre senza che il viaggio degli altri venga rallentato. Ho parlato più volte con Luca Zaia e lui mi ha sempre ripetuto che autonomia significa spendere in proprio gli stessi soldi che oggi lo Stato spende nella sua regione. Non un euro in più a scapito degli altri. Oggi la sanità è già gestita dalle regioni e non è colpa delle regioni del Nord se nel Sud funziona peggio. Obiettivo del Sud – dove le aree di eccellenza non mancano affatto – è evitare che centinaia di migliaia dei loro cittadini vadano nel Nord a farsi curare. E compito dello Stato è migliorare al più presto stipendi e condizioni di lavoro di medici e infermieri per evitare un collasso della sanità pubblica italiana che – nonostante qualche crepa – resta una delle migliori al mondo.
Il Mattino