Alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, nel tentativo di sottrarre la Lega al ritrovato abbraccio di Berlusconi, i Democratici di sinistra fecero approvare la riforma del titolo V della Costituzione con soli tre voti di maggioranza. Presidente dei Ds era Massimo D’Alema, che già nel ’95 aveva sdoganato la Lega come “costola della sinistra” in quanto nuovo partito operaio del Nord. Figlia di quella riforma è l’autonomia differenziata il cui embrione è stato approvato dal Consiglio dei ministri.
È l’inizio di una gestazione che sarà ben superiore ai nove mesi. Sorprende dunque la vibrata protesta della sinistra per una riforma che è anche figlia sua. Nel 2016 Matteo Renzi tentò di eliminarne alcune nefandezze (l’energia, elemento strategico di un Paese, può essere gestita dalle regioni?), ma un referendum costruito male andò come andò. Di più: l’Emilia Romagna nel 2017/2018 fu lesta ad affiancarsi a Lombardia e Veneto nell’avviare il processo autonomista. Successivamente altre sette regioni (tra cui la Campania e il Lazio, governate dal centrosinistra) hanno fatto la stessa richiesta. Dunque?
Passate le elezioni del 12 febbraio nel Lazio e in Lombardia, andrebbero deposte le armi e avviato un ragionamento di buonsenso.