Conte-Salvini, c'eravamo tanto odiati

Conte-Salvini, c'eravamo tanto odiati
Un forte auspicio. Giuseppe Conte non ha stretto un patto d’azione con la Lega, non è intenzionato, così dice, a rinverdire i fasti del governo gialloverde...

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Un forte auspicio. Giuseppe Conte non ha stretto un patto d’azione con la Lega, non è intenzionato, così dice, a rinverdire i fasti del governo gialloverde – il suo primo governo, quello che lo ha fatto conoscere dagli italiani come «avvocato del popolo» – ma auspica fortemente che la Lega condivida la pausa di riflessione che l’ex premier sollecita a proposito di un nuovo invio di armi. Come se il governo Draghi non sapesse più bene quel che sta facendo, o non fosse più chiaro il senso o le modalità dell’aiuto anche militare all’Ucraina, deciso qualche settimana fa.

Ora, tanto sul piano formale quanto su quello sostanziale le cose non stanno così. La mozione votata dal Parlamento (votata anche dai Cinque Stelle, come dalla Lega) esprimeva già pieno sostegno a «ogni iniziativa multilaterale e bilaterale utile alla ripresa di un percorso negoziale»; da ultimo, a Washington, Mario Draghi non ha detto cose diverse. Né una visita di Stato deve essere preceduta da un atto parlamentare, né un nuovo decreto ministeriale di invio di ulteriori aiuti richiede un passaggio in Parlamento. Dunque: non c’è materia. Ma i Cinque Stelle, dice Conte, vogliono essere ascoltati e rispettati, frase la quale dovrebbe lasciar supporre che al momento non lo sono: né ascoltati né rispettati, nonostante il ministro degli Esteri sia un certo Luigi Di Maio e nonostante il voto in Parlamento espresso dal Movimento sulla questione ucraina.

Matteo Salvini, dal canto suo, la mette quasi allo stesso modo, quando lascia a sua volta intendere che un nuovo invio di armi non lascerebbe la Lega in silenzio: dovrebbe riunire il partito, dice, sentire la base. C’è, insomma, una questione politica sollevata da entrambi, sulla stessa cruciale faccenda, e forse l’ipotesi che sia agitata solo strumentalmente, per mettere in difficoltà il Presidente del Consiglio, non sarebbe neppure la notizia peggiore. La notizia peggiore, almeno dal punto di vista di un Paese collocato pienamente nel quadrante europeo, occidentale e atlantico, è che il sentimento che i due capi partito provano a intercettare ed esprimere è effettivamente presente nel Paese. La grande emozione seguita all’invasione del territorio ucraino ha lasciato il campo a una certa stanchezza: non si tratta nemmeno della paura nucleare, ma dell’incertezza sulle sorti del conflitto, che non si capisce più dove andrà a parare e perché dunque venga combattuto e fino a quando (come se la solidarietà a un paese aggredito potesse avere una scadenza diversa dalla fine dell’aggressione – ma questa è un’altra storia).

Ad ogni modo, che sia per convinzione oppure per calcolo, Salvini e Conte sono in piena corrispondenza di amorosi sensi. Del resto, se sono riusciti a stare al governo insieme, nonostante la pensassero in maniera radicalmente diversa su un buon numero di questioni (dall’ambiente al lavoro, passando per la giustizia e le tasse) vuol dire che, dopotutto, qualcosa li unisce. Nonostante quel che è successo. Nonostante il Papeete. Nonostante il gelo seguito alla caduta del primo governo Conte. Nonostante il durissimo atto d’accusa pronunciato dall’allora Presidente del Consiglio all’indirizzo dell’allora Ministro dell’interno che gli stava seduto a fianco. Le strade si sono separate, i due non si sono più parlati, fino però alla rielezione di Mattarella, quando hanno scoperto che la pensavano allo stesso modo sulle aspirazioni di Draghi al Quirinale, che hanno concorso a frustrare. L’attuale premier è, per entrambi, un ostacolo: ecco il punto in comune. Quasi un abusivo, per Conte; di sicuro una medicina amara, per Salvini. E tutti e due saprebbero anche come dirlo ai rispettivi elettorati, rispolverando vecchi argomenti contro i poteri forti, contro l’establishment, contro la camicia di forza che – sia ieri imposta da Bruxelles o, oggi, confezionata da Washington e dalla Nato – impedisce al popolo italiano di prendere autonomamente la sua strada.

Ovviamente, nessuno dei due si spinge fino a tanto. Non sono più i tempi in cui di Putin si poteva essere amici e alla Casa Bianca sedeva Donald Trump. Ora perciò entrambi sono chiamati al ruolo scomodo di portatori d’acqua del governo, e la cosa ovviamente non va loro giù. Del resto, uno vede prosciugarsi il proprio bacino elettorale a favore di Fratelli d’Italia, mentre l’altro vorrebbe risalire a galla attingendo ai voti alla sinistra del Pd: troppo fermi, è evidente, non possono stare. Uno, Salvini, ha perso il tocco magico e pure la leadership del centrodestra, l’altro deve rapidamente ammannire qualche ragione per collocarsi a sinistra: di star contenti al quia non se ne parla, per nessuno dei due.

E infatti contenti non sono, soddisfatti nemmeno, e anche se si erano giurati inimicizia eterna hanno ricominciato ad annusarsi. Ad ascoltarsi e finanche a rispettarsi, potrebbe ben dire Conte, avendo forse in vista, dopo tante giravolte, un’ultima acrobazia.


 

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Il Mattino