I paradossi dei nuovi Cinquestelle

I paradossi dei nuovi Cinquestelle
Costruttivo: così Giuseppe Conte ha definito l’atteggiamento che i Cinque Stelle terranno sui temi della giustizia. Da presidente in pectore del MoVimento,...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Costruttivo: così Giuseppe Conte ha definito l’atteggiamento che i Cinque Stelle terranno sui temi della giustizia. Da presidente in pectore del MoVimento, fresco di accordo con Grillo, l’ex premier ha incontrato il nuovo inquilino di Palazzo Chigi per «assicurare il contributo del M5S». Quanto sia suonata rassicurante alle orecchie di Draghi l’assicurazione di Conte non è dato sapere, ovviamente, anche se lo si capirà presto, dal momento che la riforma Cartabia deve avere un corso rapido, almeno nelle intenzioni del governo. Ma «costruttivo» è parola appropriata: come altrimenti descrivere il comportamento di una forza politica che, partita da propositi fieramente anti-sistema, non ha mai rinunciato, una volta accomodatasi al governo, a fare parte della maggioranza, riuscendo ad «assicurare il suo contributo» prima alla Lega, poi al Pd, adesso a Draghi?

I Cinque Stelle, dunque, si muovono in maniera costruttiva: primo partito nelle Camere, Il MoVimento ha portato sin qui il peso maggiore nel governo del Paese. E, a quanto pare, promette di farlo ancora. Ma su questa paradossale continuità gravano oggi maggiori incognite, visto che si incontra con la più netta discontinuità mai registrata nella vita del MoVimento: la nuova guida contiana. Che sollecita la seguente domanda, per dirla in maniera franca: che cosa lo nomini a fare, un nuovo capo politico, se poi mantieni lo stesso atteggiamento parlamentare? Per andare fino in fondo alla legislatura, votando la qualunque, non c’era bisogno di mettere i grillini nelle mani di Conte: bastava procedere con il fido reggente Vito Crimi, oppure votare un bel direttorio, e insomma lasciare le cose più o meno al punto in cui erano. Invece ora c’è Conte, il quale deve aver deciso che la prima cosa da fare è far sentire su determinate scelte la posizione del MoVimento.

E qui una nuova incognita, e un nuovo paradosso. Perché Conte non prende la leadership del MoVimento avendo vinto un congresso, o avendo presentato un programma. Quello che ha fatto, è riscrivere uno Statuto, e definire funzioni e responsabilità all’interno del MoVimento, ma in nessuna sede ha finora discusso la linea da tenere nei confronti dell’Esecutivo, o le posizioni da assumere sui temi nell’agenda di governo. Ripartire significa perciò ripartire, giocoforza, da quello che ha ereditato.

Ed è la terza incognita, ed il terzo paradosso. Perché parte di questa eredità è la scelta, voluta fortissimamente da Grillo in persona, di sostenere Draghi, ed è dunque difficile immaginare che il primo atto di Conte possa mai consistere in una brusca sconfessione di questa decisione fondamentale; ma altra parte è l’eredità di Conte medesimo. E non del suo governo, ma dei suoi due governi. Perché due cose sono passate sostanzialmente indenni dal Conte I al Conte II: il reddito di cittadinanza, e la riforma Bonafede sulla sospensione della prescrizione. Questo è il gruzzolo che Conte, dunque, deve difendere. In che modo questa parte dell’eredità si combinerà con l’altra parte è da vedere, ma non è improbabile che, nonostante il semestre bianco possa far venire qualche tentazione, una soluzione alla fine si troverà.

Non sarà semplicissimo: dare la stura agli emendamenti dei grillini in Parlamento significherebbe infatti lasciare le mani libere anche alle forze che considerano la riforma Cartabia non molto più che il minimo sindacale, in tema di prescrizione. Se emendano i grilli da una parte, perché non dovrebbero emendare Forza Italia, la Lega, Italia viva dall’altra? E come la metterebbe il Pd, che si troverebbe – come è già capitato – preso in mezzo, strattonato da una parte e dall’altra? Per questo, bisogna supporre che il testo licenziato dal consiglio dei Ministri (peraltro con l’approvazione dei ministri pentastellati), non essendo ancora approdato in Parlamento vi arrivi previo accordo fra le forze di maggioranza. Diversamente, il governo rischia di ballare. Non tanto di andare sotto, ma di vedere nascere, su singoli emendamenti, maggioranze di profilo diverso. Che è quello che forse Renzi auspica: mettere alla porta i Cinque Stelle. E che Letta teme: dover scegliere fra Draghi e Conte.

Questo, poi, è l’ultimo dei paradossi. Un partito, il Pd, che ha già sostenuto in passato, senza batter ciglio, un governo tecnico come quello guidato da Mario Monti, che ha sempre fatto dell’europeismo la sua bandiera, e che sui temi della giustizia avrebbe o dovrebbe avere posizioni garantiste (rispetto alle quali la riforma Cartabia merita, onestamente parlando, non più che una striminzita sufficienza) rischia di balbettare e titubare dinanzi alla scelta fra Draghi e Conte. Ed è infine inevitabile, ma per nulla paradossale, che di ogni segnale di debolezza altri si faranno forza. 

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino