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La modernizzazione del Paese rappresenta una sfida non più procrastinabile soprattutto ora che si è messo in moto un poderoso meccanismo basato su investimenti di dimensioni senza precedenti, sollecitato dai fondi del Pnrr e dove la Pubblica Amministrazione (PA) si appresta a svolgere un ruolo decisivo in tutte le sue articolazioni (centrali e locali). Archiviati positivamente gli obiettivi dello scorso anno – che descrivono la cornice normativa e gestionale del Pnrr - sono in rampa di lancio importanti riforme e investimenti pubblici, che puntano a rendere meno accidentata la strada per la realizzazione delle sei missioni del Pnrr.
Sono percorsi fondamentali da compiere in un Paese dalle fiacche performance della PA che la Commissione europea ha plasticamente messo in luce nella primavera dello scorso anno: essa ha rilevato che tra i 27 Paesi dell’Unione – pur tenendo conto delle differenze esistenti tra gli Stati membri - i cittadini italiani sono i meno soddisfatti della qualità dei servizi pubblici (poco più di un cittadino su cinque), con una media Ue pari a poco meno del 50% (come la Francia e la Germania) e con punte del 90% circa in Lussemburgo e in Olanda.
Su questo ranking negativo del nostro Paese hanno senza dubbio influito le difficoltà derivanti dal contrasto al coronavirus, riducendo così l’efficienza dei servizi forniti (basti pensare alla farraginosità nella distribuzione dei vari ristori), ma se risaliamo a prima della pandemia, la situazione resta più o meno invariata.
Un passo importante da compiere, che interessa tutta la PA, attiene alla fase di passaggio al digitale dove il ritardo è ragguardevole: è di questi giorni la diffusione da parte dell’Istat dei primi risultati del Censimento delle Istituzioni pubbliche di cui due su tre hanno individuato nella mancanza di adeguata formazione in materia ICT il principale ostacolo al processo di digitalizzazione (una PA informatizzata equivale a garantire ai cittadini servizi rapidi, efficienti e sostenibili). C’è da dire, inoltre, che l’attuazione del Piano vedrà in prima fila gli Enti locali e regionali, i quali sono competenti per l’erogazione diretta (o indiretta, cioè in appalto a privati) di un’ampia gamma di servizi pubblici (dall’istruzione alla cultura, dai trasporti alla sanità); ebbene è proprio qui che potrebbe nascondersi il rischio maggiore di possibili rallentamenti in termini attuativi e di spesa considerando che, ad esempio, circa 40 miliardi del Pnrr saranno a disposizione dei comuni, per cui serve dagli stessi una risposta gestionale pronta ed efficace.
La questione appare delicata in quanto non si tratta solo di spendere ma della qualità della spesa, visto che non tutti i comuni si trovano nelle medesime condizioni iniziali (nel trasporto pubblico locale, ad esempio, il numero dei passeggeri trasportati rispetto alla popolazione residente è tre volte più elevato nei comuni capoluogo di provincia del Nord nei confronti di quelli del Sud oppure i comuni che hanno attivato servizi per l’infanzia sono quasi il 70% nel Nord e meno del 50% nel Sud, fonte Istat). Poi ci sono situazioni di squilibrio che prescindono dall’aspetto territoriale, ma attengono a problematiche legate alle condizioni familiari e/o alla struttura produttiva dei comuni, che vanno riequilibrate. Insomma, la sfida è appena iniziata ed è bene prepararsi al meglio per i compiti che ci attendono nei prossimi mesi ed anni.
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