La rabbia e le sfide dei nuovi No Global

La rabbia e le sfide dei nuovi No Global
Difficile dire, seguendo gli eventi di questo sabato, quale sarà la conclusione della giornata di protesta. Al momento, sembra relativamente più tranquilla rispetto...

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Difficile dire, seguendo gli eventi di questo sabato, quale sarà la conclusione della giornata di protesta. Al momento, sembra relativamente più tranquilla rispetto a quella di sabato scorso: inferiore il numero degli incidenti a Parigi, i manifestanti meno concentrati nella capitale, ma più diffusi sul territorio, tra provincia e altri grandi centri urbani, a partire da Marsiglia. Certamente, hanno pesato i proclami del governo e delle forze dell’ordine circa il timore di incidenti gravi, eventualmente di morti nelle strade, nonché i fermi effettuati preventivamente.

Tuttavia, il movimento sembra ancora estremamente vitale e destinato a durare. Per questo è importante cercare di comprendere di cosa si tratta e chi sono i gilets gialli. Due sono i fattori principali che hanno innescato il movimento: da una parte, la crisi profonda dei partiti tradizionali, che durante le ultime elezioni sono affondati, ma che era evidente già da prima; dall’altra, l’importanza dei social networks nel creare un nuovo tipo di movimento, privo di punti di riferimento chiari, però multiforme e proprio per questo difficile da prevedere e controllare. In particolare, Facebook, ormai ritenuto una piattaforma «vecchia», ha giocato un ruolo importante nel lanciare la protesta. I Gilets Jaunes non fanno capo a un solo gruppo; ve ne sono infatti molti, da «la France en colère !!!», che conta 285.000 membri, alle diverse varianti intorno a Gilets Jaunes, che pure raggruppano molte decine di migliaia di persone.

Infine, c’è la componente localistica, estremamente forte, che fa riferimento a zone, regioni della Francia, che pure nell’insieme si riconosce nel movimento. È chiaro che, in tale varietà di gruppi, sono possibili infiltrazioni, presenza di estremismi di destra e sinistra, così com’è spesso assente un linguaggio politico in senso tradizionale, sostituito da un idioma popolare, condito talvolta di sessismo, omofobia, affermazioni generiche e poco fondate: di fake news, come si dice oggi. Tuttavia, chi ha provato a calcolare a quanti iscritti ammonta il totale di questi gruppi, è arrivato a contarne oltre due milioni e mezzo. Non tutti sono per le strade a protestare, naturalmente, ma la sensazione generalizzata è che il movimento abbia un solido sostegno popolare. Le ragioni della protesta sono diverse: la miccia è stata data dall’annuncio di nuovi aumenti delle tasse, in particolare di quelle sui carburanti, che pesano soprattutto sulle fasce di reddito medie e su coloro che, non abitando in città, non hanno mezzi pubblici per spostarsi da un luogo all’altro. La divisione fra la campagna e la città, Parigi in particolare, è in Francia molto forte e si era vista già nelle ultime elezioni. In generale, però, è l’aumento di tutte le imposte a pesare sui redditi medi e medio-bassi, che vedono le politiche governative ormai da un bel po’ di tempo a questa parte, applicare misure molto differenti nei criteri di tassazione. Il governo guidato da Macron ha tolto l’imposta di solidarietà sulla fortuna, sostituendola dall’1 gennaio 2018 con l’imposta sulla fortuna immobiliare. È un provvedimento che rinuncia a tassare, com’era tradizione in Francia, gli attivi finanziari molto elevati: Macron, a dire il vero, l’aveva presentata già in campagna elettorale come un modo per invogliare gli investitori a non fuggire dal Paese. Oltre a questo, c’è il problema, comune a molte altre nazioni, delle grandi imprese che non pagano le tasse, o ne pagano una minima parte, sul suolo nazionale, perché sono transnazionali e hanno le proprie «residenze fiscali» lì dove più conviene; per esempio, restando in Europa, in Lussemburgo. È il caso di Amazon, che su questo ha costruito buona parte della propria fortuna. Un’altra richiesta che si sente risuonare nelle piazze francesi riguarda l’innalzamento dello SMIC, cioè del salario minimo garantito. Nelle campagne, ci può essere risentimento verso una politica che garantisce le grandi città contro la provincia; ma nelle grandi città ci sono i marginali delle banlieues che hanno i propri conti da presentare: a Marsiglia, per esempio, è ancora forte l’emozione per il palazzo crollato per l’incuria lo scorso novembre, uccidendo 8 dei suoi abitanti. Mentre fra i liceali c’è rabbia per l’aumento delle tasse, più alte per quelli extracomunitari. Nel complesso, l’argomento che può unire le anime diverse del movimento, che si richiama negli slogan indifferentemente alla rivoluzione francese del 1789 come al maggio del 1968, risiede in una critica a governi che favoriscono soltanto il grande capitale, in particolar modo quello finanziario, senza che vi sia una ricaduta di ricchezze verso i ceti inferiori. Se è difficile dire come si chiuderà questa giornata, lo è ancora di più capire se i Gilets Jaunes sono una fiammata che potrà durare qualche settimana o mese, per poi rientrare dinanzi a eventuali concessioni o per mancanza di sbocchi, o qualcosa di più: magari una prima scossa a un sistema ultraliberista che nel 2017 ha visto l’82% delle ricchezze del mondo concentrarsi nelle mani dell’1% della sua popolazione. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino