La via crucis di Whirlpool atto di accusa alla politica

La via crucis di Whirlpool atto di accusa alla politica
Li abbiamo visti sui binari della stazione ferroviaria, sulle autostrade, tra le auto del traffico cittadino, agli imbarchi degli aliscafi e dei traghetti per le isole, in...

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Li abbiamo visti sui binari della stazione ferroviaria, sulle autostrade, tra le auto del traffico cittadino, agli imbarchi degli aliscafi e dei traghetti per le isole, in aeroporto. A piedi per distribuire volantini, davanti alla Prefettura e alla Regione per chiedere di essere ricevuti e ascoltati. O in pullman per i viaggi della speranza al ministero dello Sviluppo economico o per far sentire la loro voce davanti alle sedi del potere politico e legislativo. Li abbiamo visti e li vedremo ancora perché loro, gli operai della Whirlpool a rischio di licenziamento, sono così: un blocco compatto, deciso ad andare avanti ad oltranza, con qualsiasi tempo o condizione ambientale, con l’afa di queste ore o sotto la pioggia. Ma sono anche uomini e donne consapevoli di non dover trasformare le loro rivendicazioni in una condanna per tutti gli altri, trasferendo cioè su chi non c’entra la rabbia e la disperazione di due anni di lotta per il lavoro. È il tratto distintivo, per quanto sia giusto parlare così, di questa vertenza, diventata familiare ai napoletani (e non solo) anche a prescindere dagli inevitabili disagi provocati da blocchi e manifestazioni. La tensione non è mai sfociata in incidenti, l’occupazione di strade e binari non ha provocato esplosioni incontrollate di rabbia, il dialogo e la comprensione hanno vinto sempre. 

La protesta è entrata ormai a pieno titolo nelle certezze quotidiane di una città che di certezze ne ha sempre avute poche. C’è, esiste, si manifesta in forme quasi sempre diverse e improvvise ma ha finito per conquistare quote di solidarietà ancora più cospicue di quelle che si poteva immaginare. Il volto sudato e mai rassegnato degli operai della Whirlpool è diventato familiare, ha superato diffidenze e perplessità, si è conquistato benevolenza e rispetto e ne ha restituito altrettanti, sia pure in modalità molto particolari. 

C’è molto da imparare, forse, da questa storia, pur con i limiti di un orizzonte – la conferma della continuità produttiva dello stabilimento di via Argine - che sin dall’inizio è apparso lontano, complicato, irraggiungibile. E proprio per questo si fa ancora più fatica a capire che fine ha fatto la politica e perché dopo due anni non siamo ancora in grado di conoscere se e quale prospettiva di continuità lavorativa può esserci per i quasi ex dipendenti della multinazionale. Troppo evidente lo scarto tra la quantità di azioni messe in campo dai lavoratori e le risposte di quelli che restano comunque i loro interlocutori pubblici.

Quantità industriali di annunci, promesse, demagogia e retorica si accompagnano da mesi al buio dell’incertezza, ai punti interrogativi, alle incognite sul futuro. Che ne sarà di loro? Ha del miracoloso la capacità degli operai della Whirlpool di lasciare ancora aperto nel loro cuore uno spiraglio alla speranza, alla fiducia in una svolta finalmente degna di questo nome. All’apertura, insomma, di un tavolo di trattativa che sembra da mesi un’araba fenice: un giorno sembra dietro l’angolo, il giorno dopo è già scomparso. Resistere in queste condizioni è molto più di un’impresa quasi impossibile: e i napoletani lo sanno bene, perché qui resistere è sempre stato un elemento del Dna collettivo, un marchio di fabbrica anche se qui è proprio la fabbrica a mancare. Solo che alla fine deve arrivare il giorno delle decisioni, dell’assunzione di responsabilità, degli impegni seri e non più derogabili: il giorno della politica, per essere chiari. Perché è da qui che si passa, da qui si viene giudicati, da qui si deve ripartire. E da qui, per capirci, vuol dire Governo, Parlamento, Regione e Comune: salvare i lavoratori della Whirlpool era e rimane un dovere soprattutto per loro. 

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Il Mattino