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Il voto è locale, certo, ma come ogni voto si porta dietro aspettative e prospettive. Sono tredici i Comuni in provincia di Napoli che domani eleggeranno sindaco e consiglio comunale ma mai campagna elettorale è stata tanto sotto tono. C’è stata una voluta distrazione dei partiti, segno evidente di una debolezza che si è manifestata sin dalla presentazione delle liste. Di simboli tradizionali, sulle schede, se ne vedono pochi; le coalizioni sono eterogenee, le alleanze spurie. In compenso, abbondano le liste civiche. I leader, locali e nazionali, non si sono esposti se non con occasionali apparizioni; meglio attendere, è il ragionamento, il risultato delle urne e poi mettere il cappello sulla vittoria o fuggire dalla sconfitta.
Le divisioni, i veti, i contrasti e le ambizioni personali, il logorio di vecchi protagonisti, la difficoltà a imporsi delle nuove generazioni, l’esibizionismo di cacicchi locali che giocano a fare i leader e pensano a fare incetta di consensi hanno in molti casi prevalso sulla definizione di perimetri politici che potessero in qualche modo combaciare con quanto, in termini di alleanze, si predica a livello nazionale.
Le elezioni locali, come sempre più frequentemente accade soprattutto nei centri medio-piccoli, hanno amplificato tutti i difetti della politica italiana. Paradigmatico è il caso del centrodestra, un fantasma nello scenario politico napoletano. In nessuno dei sette comuni con oltre 15mila abitanti è presente una coalizione composta dai partiti fondatori (Forza Italia, Fdi, Lega).
Si potrebbe obiettare che anche in città come Parma e Verona il centrodestra va in ordine sparso. L’aggravante, in provincia di Napoli, è però dettata da un’altra circostanza: né la Lega né Forza Italia hanno presentato una loro lista. Passi per i salviniani, che confermano la tendenza a uno scarso radicamento territoriale (puoi anche togliere la parola Nord dal simbolo ma al Sud la Lega è sempre percepita come forza settentrionale), ciò che colpisce è l’assenza di Forza Italia (per anni primo partito in Campania) che segna una crisi di militanza e di leadership.
Ma se Sparta piange Atene non ride. Pd e M5s, più per convenienza che per convinzione, sono riusciti a comporre un’alleanza solo ad Acerra e Nola. Un po’ poco se si pensa che appena un anno fa l’intesa a sostegno di Gaetano Manfredi a Napoli fu sbandierata come l’inizio di una comune avventura. Un po’ poco perdipiù in una provincia che, solo per riferirsi ai cinque stelle, esprime leader come il presidente della Camera e il ministro degli Esteri. I quali, giusto per capire che aria tira nel movimento, sono andati entrambi a Portici, Fico per sostenere il candidato dei grillini ma Di Maio per incontrare il sindaco uscente del Pd. Né, in casa Pd, il governatore De Luca si è speso più di tanto per la definizione di un campo largo. Del resto, ed è cronaca di questi giorni, le tensioni esplose tra i democratici dicono molto sullo stato di salute di un partito che a quindici anni dalla nascita ha smarrito i propri principi fondatori. Delle primarie, tanto per dire, da anni ormai si sono perse le tracce. Plastico è il caso di Pozzuoli, la più grande delle città al voto, dove il Pd non ha il simbolo, ma ha due candidati l’uno contro l’altro e dove i consiglieri regionali si sono affrettati a sostenere chi l’uno chi l’altro dei contendenti.
Da lunedì, a urne chiuse, nei partiti, se ne avranno voglia, dovrà essere avviata una seria riflessione al di là delle bandierine che ognuno avrà piazzato, perché la loro fragilità c’è, esiste, ed è una fragilità che da un lato indebolisce la politica e svilisce la partecipazione dei cittadini e dall’altro rafforza le leadership personali e alimenta i populismi. E c’è infine un altro aspetto non secondario. La debolezza dei partiti riduce spesso i consigli comunali o ad organismi vuoti in cui gli eletti sono ridotti a sparring partner che alzano la mano su ordine del cacicco di turno o a contenitori anarchici in cui si gioca con il sindaco come il gatto col topo fino ad attirarlo nella trappola della sfiducia. E invece le assemblee elettive dovrebbero (devono) essere il cuore del confronto costruttivo e della sana dialettica e a questo obiettivo partiti seri dovrebbero concorrere.
Un’ultima considerazione. L’altro giorno è stato sciolto per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale di San Giuseppe Vesuviano, il terzo caso nel 2022 dopo Castellammare e Torre Annunziata. Commissariati per camorra sono anche Villaricca e Marano. Sant’Antimo torna al voto dopo diciotto mesi di commissariamento. Il tema della legalità e della trasparenza e del rischio di connivenze con la criminalità organizzata resta primario e non riguarda solo la classe politica ma anche gli apparati amministrativi degli uffici comunali. La questione è grave e complessa e richiede, perché sia affrontata con efficacia, partiti forti, credibili, organizzati e dotati dei necessari anticorpi per isolare le mele marce e respingere le tentazioni che pure ci sono in un territorio ad alta densità criminale.
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