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Può stare a processo, ma è necessario «un approfondimento medico per stabilire se ci fosse capacità di intendere e di volere al momento del fatto». Con questa motivazione, i giudici della prima sezione della Corte d’Assise di Napoli hanno disposto una perizia psichiatrica su Gamba Adalgisa (nella foto), la 41enne di Torre del Greco accusata di aver soffocato il figlioletto Francesco di appena due anni e mezzo perché temeva fosse autistico, per poi lanciarsi nel mare gelido con lui nei pressi di un lido balneare.
La tragedia avvenne la sera del 2 gennaio dello scorso anno e in un primo momento si pensò che il bimbo fosse stato annegato dalla mamma, ma solo dall’autopsia è emerso che il piccolo era già morto quando fu portato in acqua. Su richiesta dei legali di fiducia dell’imputata (assistita dagli avvocati Salvatore Del Giudice e Michele Coppola) i giudici hanno disposto la perizia psichiatrica: l’incarico sarà affidato alla prossima udienza al dottor Alfonso Tramontano. Sulla capacità processuale, invece, sono state sufficienti la documentazione medica del penitenziario femminile di Pozzuoli, la cartella clinica e la precedente consulenza già presenti agli atti. Secondo gli avvocati Del Giudice e Coppola, la donna «ogni volta che ci rechiamo in carcere per incontrarla» prima di tutto chiede loro: “ma hanno capito come ho ucciso mio figlio?”. Come in un nuovo caso Cogne.
Ieri mattina, nell’aula 115 del tribunale di Napoli c’è stato il primo faccia a faccia tra Gisa e il marito, che da quella sera non ha più parlato con la donna. Lui si è costituito parte civile con gli avvocati Luigi Ulacco e Pasquale Morra, insieme alla nonna paterna del piccolo Francesco. Lei era nella cella di sicurezza dell’aula, dove ha assistito alla prima udienza del suo processo in silenzio, seduta, ascoltando ogni singola parola. Nessun tentennamento neanche quando il tenente Marco Massimino, in forza alla compagnia dei carabinieri di Torre del Greco e tra i primi ad intervenire quella drammatica sera sulla spiaggia, ha elencato alcuni messaggi mandati da Gisa al marito nei giorni che hanno preceduto il terribile delitto e le frasi cercate con insistenza e senza sosta su Google per tutta la notte e fino alle 16.30 di quel 2 gennaio. Guardando una foto, lei avrebbe risposto «quanto è brutto» riferendosi al piccolo Francesco. E poi: «Cicci non vuole dormire. Secondo me vuole il ciuccio, o vogliamo farlo schiattare così si toglie il vizio?». E ancora, la sera prima: «La situazione è terribile. C’è qualcosa che non va» perché il piccolo piangeva e non voleva addormentarsi. Tutte frasi che, secondo la difesa dell’imputata, vanno reinterpretate perché «spesso sono presenti emoticon scherzose».
Gamba Adalgisa
Il cellulare fu recuperato dai sommozzatori in acqua, il giorno dopo la morte del piccolo Francesco e, secondo la Procura di Torre Annunziata (procuratore Nunzio Fragliasso, in aula il sostituto Andreana Ambrosino) conterrebbe la premeditazione del delitto. Per tutta la notte, in vista di una visita medica in programma il lunedì dal pediatra, Gisa avrebbe cercato con insistenza sintomi dell’autismo legati ai comportamenti del figlio. Ma non solo. Nel corso delle ultime venti ore di vita del piccolo Francesco, nella barra della ricerca di Google la madre avrebbe digitato frasi drammatiche come «morte bimbo strangolato», «buttare figlio in mare», «bambino ucciso perché piangeva», «ucciso con candeggina», «strage familiare», «uccide figlio disabile» e «aggressione con coltello pena», per capire quanto avrebbe rischiato in caso di omicidio. Segno di lucidità e premeditazione, secondo l’accusa. Un segnale che stava male e in confusione, è quanto sostengono i suoi difensori. La perizia psichiatrica dirà qualcosa in più.
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