La bellezza dell'acquario e la bruttezza della Villa

La bellezza dell'acquario e la bruttezza della Villa
La cerimonia solenne con cui ieri a Napoli è stata salutata la riapertura dello storico Acquario della Stazione zoologica Dohrn avrebbe dovuto calare, come a Roma sulla...

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La cerimonia solenne con cui ieri a Napoli è stata salutata la riapertura dello storico Acquario della Stazione zoologica Dohrn avrebbe dovuto calare, come a Roma sulla targa sbagliata per Ciampi, un pietoso velo su tutto quello che c’è intorno. Un enorme drappo – giallorosso anche questo, con i colori di Napoli – di 110mila metri quadrati per coprire la vergogna della Villa comunale. Non un errore di battitura su una lapide di marmo, com’è capitato alla povera sindaca di Roma sotto lo sguardo severo del presidente Mattarella, ma un reiterato e ostinato abbandono, una storia lunga ormai di degrado, che immaginiamo sia stata notato dagli illustri partecipanti alla cerimonia, dal presidente della Camera, Fico, dalla sottosegretaria Fontana, dal presidente De Luca, dallo stesso sindaco in carica, che ha reso interviste su tutto, dalle prossime elezioni in Calabria a quelle napoletane, disegnando mirabilie sulla riapertura dell’Acquario senza, però, una parola sulla “sua” Villa comunale.

A meno che le auto blu non siano entrate, coi vetri oscurati, fin dentro le vasche coi pesci, si suppone che gli altissimi livelli istituzionali giunti a salutare la riapertura, dopo sei anni di interventi, di uno dei più antichi acquari del mondo, si siano accorti di giardini incolti, alberi secchi, panchine divelte, percorsi dissestati, cestini distrutti, e un senso di desolante degrado che ha trasformato da anni un parco reale in una selva degradata.

Di sicuro se ne accorgeranno turisti e visitatori che affolleranno da oggi il percorso tra le vasche delle stelle marine, dei paguri, i 19 acquari di grandi dimensioni, le 200 specie animali, 507 metri quadrati di meraviglie circondato dalla bruttezza e dall’abbandono. Da una parte l’incanto, dall’altra lo sprofondo. 

All’iniziativa, non senza polemica da parte degli esclusi, hanno partecipato anche due candidati alla carica di sindaco delle prossime amministrative, Manfredi – ex Rettore della Federico II – e Clemente, assessore. Sarebbe utile alla città che i due, dopo aver visto – e siamo certi che lo abbiano notato – quell’intollerabile stridore tra bellezza e degrado, presentassero alla città - ciascuno per la sua parte - un progetto, una idea, un percorso di recupero e valorizzazione della villa. Sarebbe utile, e auspicabile, che anche gli altri candidati a sindaco si spendessero – più che in polemiche - con idee precise, indicando soluzioni invece di raccontare problemi, su un elemento cruciale dell’idea stessa di città. Quella distesa di verde, a ridosso del lungomare non più liberato ma ormai occupato da ristoranti e auto, deve essere restituita ai napoletani, e in condizioni di dignità e decoro. Il passeggio al posto della chiaia, lungo la riviera, voluto dai Borbone per fare in riva al mare le Tuileries napoletane, non può essere umiliato in questo modo. Altro che infangare Napoli, è quella la vera diffamazione della città, la cartolina sporca, lo sfregio. Poco conta, a questo punto, anche la polemica molto ideologica sui modelli di gestione. Se nel bilancio comunale non ci sono i soldi, che si attivi ogni possibile strada, ogni ingegno, ogni idea per salvare il salvabile. 
Del resto la fondazione della stessa Stazione zoologica, datata 1872, è un esempio storico di innovazione nei beni pubblici. 

Una catena di scienziati e artisti guidati da Anton Dohrn convinse le autorità comunali a cedere gratuitamente un terreno, mentre lo studioso costruì il tutto a suo spese. Oggi la chiameremmo collaborazione pubblico-privato, e magari qualcuno si scandalizzerebbe. Scienza, università, governo, ministeri, enti locali, imprese, associazioni: vedete un po’ voi come e chi e in che modo. Ma si faccia qualcosa. Quell’acquario oggi è un bellissimo oggetto al centro di una casa vuota, distrutta, abbandonata. Fa più tristezza che magia.

 

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Il Mattino