L'edilizia popolare va sottratta alla camorra

L'edilizia popolare va sottratta alla camorra
Strana storia a Napoli, dove lo stesso fatto cambia colore a seconda dei punti di vista. Prendiamo la storia delle case: sono 13mila i nostri concittadini che rischiano lo...

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Strana storia a Napoli, dove lo stesso fatto cambia colore a seconda dei punti di vista. Prendiamo la storia delle case: sono 13mila i nostri concittadini che rischiano lo sfratto, dopo che è saltato il vincolo governativo causa pandemia, nella stessa area metropolitana che fa notizia per gli immobili occupati. Strana storia dove c’è chi rischia di aprire la porta a un ufficiale giudiziario, che impone il foglio di via, nello stesso territorio dove la camorra ha riprodotto le proprie ricchezze all’ombra del patrimonio comunale. Un caso destinato ad essere affrontato questa mattina in sede di comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, ospite d’eccezione il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.

Più della clava, contro certe ramificazione, servirà usare il bisturi e mostrarsi autorevoli e precisi come il migliore chirurgo. Ne va della credibilità delle istituzioni, alla luce dell’azione concentrica - possiamo dire asfissiante - messa in campo dalla camorra negli ultimi ventiquattro mesi. Proviamo a ragionare sui fenomeni più recenti: da un lato, c’è chi ha accumulato in questi mesi ingenti somme di denaro che devono essere collocate sul territorio. Sono i proventi di droga, racket e usura, che devono essere piazzati e ripuliti. 

In che modo? Affittando locali commerciali, accettando qualsiasi contratto (magari anche al rialzo) pur di dare vita ad attività economiche apparentemete pulite. Soldi che creano una finta percezione di ricchezza, che alimentano un mercato immobiliare drogato, che taglia le gambe a quanti vivono di stipendio o a quanti, negli ultimi ventiquattro mesi, uno stipendio l’hanno perso e convivono con casse integrazioni e attesa di ristori governativi. Dall’altra parte, abbiamo invece centinaia di nuclei familiari (ragionando su scala metropolitana) che vivono in case pubbliche, puntualmente occupate. Non sono tutti camorristi, bene sottolinearlo, e uno Stato autorevole deve battersi per assicurare il diritto alla casa a tutte le fasce deboli, senza però continuare a tollerare lo spettacolo che si consuma sotto gli occhi di tutti proprio all’ombra del patrimonio pubblico. 

Restiamo alla storia che abbiamo tirato fuori in questi mesi, a proposito delle occupazioni abusive di via Egiziaca a Pizzofalcone. È qui che gli inquilini regolari sono stati di volta in volta allontanati, per fare spazio a nuclei familiari riconducibili a due o tre famiglie in odore di camorra. Che gestiscono gli spazi pubblici, dove - secondo le più recenti indagini - si costruiscono ricchezze personali di origine mafiosa. In che modo? Droga e usura, fenomeni letteralmente esplosi durante i mesi di lockdown, che hanno stritolato un pezzo di economia legale. Soldi sporchi da conservare nelle pareti (come avvenne qualche anno fa, dove - in casa di un ex contrabbandiere di Santa Lucia vennero trovati otto milioni di euro dietro le mattonelle della cucina), soldi sporchi da riciclare. Che finiscono attraverso mille rivoli nel cuore dell’economia cittadina, che si regge - come avviene ancora in tutte le grandi metropoli europee - nella gestione di pezzi di mercato immobiliare. Se ne sono accorti qualche mese fa i finanzieri del nucleo di polizia economico e finanziaria agli ordini del comandante Domenico Napolitano, alla luce di quanto avvenuto nei mesi della pandemia a Napoli. 

Qual è il dato offerto al lavoro investigativo? Sono stati denunciati 88 esponenti di altrettante società immobiliari ritenuti vicini ad ambienti opachi, se non addirittura con precedenti di mafia. Come va letto questo dato? È un campanello di allarme da non sottovalutare, alla luce delle cosiddette dinamiche ribassiste (vendita al ribasso), che hanno riguardato soprattutto chi - prima del covid - era in possesso di immobili ed è stato costretto a vendere a prezzi stracciati. Erano imprenditori puliti che hanno lasciato il passo a decine di soggetti che hanno avuto gioco facile a collocare sul tavolo soldi a morte di subito, per acquistare case da mettere sul mercato degli affitti o per creare reti ricettive per la ripartenza turistica, quando anche la variante Omicron (si spera) avrà lasciato Napoli. Vicende che vanno considerate con un approccio unitario, mai più prospettico, perché appartengono tutte allo stesso scenario metropolitano. Un contesto che impone a qualcuno di abbandonare il proprio domicilio, di fronte all’impossibilità di poter onorare l’impegno preso con il proprietario di casa, ma che consente a qualcun altro di investire capitali sporchi per mantenere in vita una certa bolla immobiliare a Napoli. 

E non è tutto: uno scenario che rende impossibile a chi attende da anni una casa dignitosa di rivolgersi agli enti locali - Comune di Napoli in primis - di fronte allo stallo di una graduatoria che fa i conti con occupazioni abusive su cui nessuno è in grado di pretendere chiarezza. È in questo contesto che si chiede un punto di rottura, a partire dal cosiddetto Patto per Napoli che - questa mattina - a distanza di quaranta e passa anni dal terremoto, sappia affrontare le tante facce dell’emergenza case a Napoli. Un’emergenza dove la stessa questione - quella abitativa - diventa un business per qualcuno e un incubo per chi si ostina a vivere in modo onesto. 

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Il Mattino