Manfredi e i partiti, ​se tornano i ricatti

Manfredi e i partiti, se tornano i ricatti
Il caso della Virtus Piscinola, che ha visto il venir meno della maggioranza in Consiglio comunale a Napoli, può essere valutata come la spia, o meglio, come la metafora...

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Il caso della Virtus Piscinola, che ha visto il venir meno della maggioranza in Consiglio comunale a Napoli, può essere valutata come la spia, o meglio, come la metafora concreta di quella debolezza delle classi dirigenti meridionali che con lucida e sconsolata puntualità Florindo Rubbettino ha denunciato su queste colonne. Non che una defaillance non possa accadere in un libero consesso democratico. 

Ma qui stiamo parlando di una maggioranza pletorica e reboante che si era candidata a rilanciare Napoli – comune più indebitato d’Italia, e con una crisi economica e sociale di proporzioni gigantesche – ponendo fine agli anni nefasti del guevarismo populista delle due passate amministrazioni. Una classe dirigente che era consapevole, almeno a parole, durante la campagna elettorale, di dover lavorare compatta per trovare un equilibrio di bilancio, per rilanciare i servizi, riavviare la macchina comunale, ordinare il caos burocratico e amministrativo, riscuotere i tributi, rendere efficienti le Municipalità – sulle cui giunte ancora si litiga vergognosamente, come nelle peggiori stagioni della Prima Repubblica – e rendere pronta la città per una gestione efficace ed efficiente dei fondi del Pnrr. E invece ci si divide come sempre per ragioni di potere, di cariche, di sottogoverno, e tutto questo mentre il disagio sociale dilaga e l’economia sana è sempre più esposta, per affanno fiscale e per carenza di liquidità, alle infiltrazioni della camorra e dell’affarismo più torbido e volgare. Questi  problemi oggi si evidenziano a Napoli, ma purtroppo sono una costante di buona parte del Meridione, dove obiettivamente c’è un grande problema di qualità e selezione delle classi dirigenti.

Sono settimane se non mesi che le opposizioni, la società civile e la pubblicistica politica più militante chiedono a gran voce la risoluzione del problema delle giunte delle Municipalità napoletane, e tuttavia, nonostante questa pressione, la maggioranza non ha sinora mostrato alcun sussulto di orgoglio, anzi, continua a tenere in piedi uno spettacolo indecoroso, anteponendo alle ansie e alle aspettative dei cittadini le solite questioni personalistiche.

Perché di questo si tratta, di personalismi. Non che la politica non sia e non debba anche essere legittima ambizione personale, ma com’è possibile non sentire il peso di candidarsi alla guida di realtà problematiche e disagiate ferite a morte da disoccupazione, emigrazione, clientelismo, abbandono scolastico, illegalità e finanche criminalità organizzata? Com’è possibile non sentire il bisogno di mettere da parte i propri appetiti narcisistici di fronte a una città strangolata dai debiti e da una macchina comunale ridotta al lumicino?

Il sindaco Manfredi è persona di grande spessore culturale ed etico, ma ora è arrivato il momento per lui di colmare con ruvido decisionismo gli attendismi e le mediocrità dei tanti, troppi padri – veri o presunti – della sua affermazione elettorale. Tocca a lui dare un segnale, una scossa, a costo di scontentare chi non ha ancora capito che la situazione di Napoli non ammette più rinvii e timidezze. Ma si apra anche una riflessione su come si selezionano le classi dirigenti, perché se a candidarsi è mezza città solo per fare pesca a strascico, poi è inevitabile che a bloccare una vera azione riformatrice siano collettori di voti e professionisti delle preferenze. 

La sortita di Rubbettino sulla bassa qualità delle classi dirigenti meridionali merita una riflessione urgente anzitutto all’interno dei partiti. Al di là di facili invettive, bisogna capire in che modo separare la politica dalla gestione, la politica dalle politiche, la battaglia delle idee dalla capacità tecnica. Per essere buoni politici non basta avere i voti, benché ne sia presupposto principale, almeno in democrazia; per esserlo bisogna avere esperienza amministrativa, visione socio-culturale, competenze, conoscenze approfondite su come funziona la concreta gestione della cosa pubblica. Cosa stanno facendo i partiti, in specie al Sud, per migliorare mediamente la qualità dei propri candidati? Esistono criteri oggettivi di selezione, oppure a prevalere è sempre e soltanto la logica della filiera di voti? Se fosse solo così, il Sud rischia molto, perché oggi non avere una classe dirigente di alto livello significa sprecare danaro pubblico, perdere treni preziosi, far evaporare progetti e finanziamenti, deprimere e scoraggiare le potenzialità del territorio e, soprattutto, rendere i fondi del Pnrr un’occasione mancata. Se non saranno i partiti a riacquistare forze e autorevolezza sarà sempre più difficile portare ai vertici delle istituzioni e delle amministrazioni persone di valore, perché a prevalere saranno soltanto logiche elettoralistiche, ovvero logiche mediocri. La politica democratica non dovrebbe mai essere oligarchia dei “migliori”, ma francamente di qualche “peggiore” la politica meridionale potrebbe anche iniziare a sbarazzarsi. Tocca ai partiti dare un segnale immediato, perché senza partiti forti e seri cresceranno soltanto disordine e mediocrità. 

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Il Mattino