Perché integrazione e sussidiarietà sono compatibili

Perché integrazione e sussidiarietà sono compatibili
Dalle istituzioni dell’Ue, e in particolare dalla Commissione, dopo gli equivoci iniziali sono giunte rassicurazioni e inviti al costituendo governo per la prosecuzione e...

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Dalle istituzioni dell’Ue, e in particolare dalla Commissione, dopo gli equivoci iniziali sono giunte rassicurazioni e inviti al costituendo governo per la prosecuzione e l’ulteriore sviluppo della collaborazione con l’Italia. Si attende ora la risposta ufficiale, con l’indicazione dei temi da affrontare congiuntamente, allorquando Giorgia Meloni - ricevuto l’incarico e formato il nuovo governo - si presenterà alle Camere per il voto di fiducia al suo programma. 



In questo contesto, assume un ruolo particolarmente importante il richiamo del principio di sussidiarietà che anche in questi giorni viene sottolineato da esponenti di Fratelli d’Italia, alcuni dei quali probabili futuri ministri. Questo principio, relativamente ai rapporti con l’Unione, è stato considerato come un freno al processo di integrazione. E tuttavia, se adeguatamente inquadrato, il concetto di sussidiarietà non è affatto antitetico all’integrazione. Tale principio, che fu posto alla base dei Trattati di Roma e che in concreto si traduce, nella sua accezione “verticale”, nel non trasferire al livello superiore ciò che può essere fatto a livello inferiore, risponde pure a un’esigenza logica e pratica. E’ importante, però, che rilanciando giustamente la sussidiarietà, non si contrastino quelli che non devono essere meri trasferimenti di sovranità nazionale per sostenere lo sviluppo dell’integrazione, ma siano un accentramento per la formazione di una sovranità europea al cui esercizio debbono partecipare pienamente tutti i partner comunitari. E ciò non si realizza con un semplice «si faccia», ma occorrerà intervenire sulla governance europea, sugli ordinamenti, più in particolare sulla rappresentatività e sui poteri dell’Europarlamento oltre che sui rapporti con la Commissione, il cui ruolo potrebbe evolvere verso quello di un effettivo governo. Insomma, un’opera di ampia portata, di natura costituente che dovrebbe essere affrontata dalla Convenzione il cui avvio, dopo i risultati della Conferenza sul futuro dell’Europa, è stato preannunciato dalla presidente Ursula von der Leyen nel recente discorso sullo stato dell’Unione. Principio di sussidiarietà e sovranità europea paritariamente partecipata debbono costituire un binomio inscindibile. 

Dei due, il primo, che trova elaborazioni e sviluppi pure in altri campi economici e sociali, andrà poi valutato anche per i rapporti tra centro e territori in Italia, in relazione al riesame del Titolo V della Costituzione. Alla luce di una linea che valorizzi entrambi i principi indicati, potranno essere riviste alcune scelte in materia di legislazione europea e la stessa necessaria riforma del Patto di stabilità ritornando agli impegni assunti in occasione della firma nel 1992 del Trattato di Maastricht, quando all’allora ministro del Tesoro Guido Carli tremò la mano per la firma; poi tuttavia si decise a sottoscrivere sulla base dell’impegno secondo il quale sarebbero state fissate alcune regole in sede comunitaria, ma nel contempo sarebbe rimasta ampiamente libera e autonoma la politica economica e sociale dei singoli Stati.

Ebbene, è sulla mancata attuazione di quell’impegno e sullo sviluppo degli Accordi intergovernativi come via per evitare di affrontare gli scogli della revisione dei Trattati che autorevoli giuristi, a partire da Giuseppe Guarino i cui scritti si farebbe bene a rileggere, hanno sviluppato una serrata critica sulla conformità di alcuni atti, quali determinati Regolamenti europei (oltre agli stesi Accordi citati), ai Trattati. Quanto, poi, all’altra questione sollevata da esponenti di Fratelli d’Italia riguardante ipotesi di prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario, va osservato, al di là del fatto che si tratta di una problematica che vive anche in Germania non certo contraria allo sviluppo dell’integrazione comunitaria, che molto dipende dal modo e dai contenuti di tale tesi. Ad oggi, secondo le diverse sentenze, anche della nostra Consulta, la prevalenza nazionale, per una nutrita serie di argomentazioni, potrebbe riguardare solo i principi della Costituzione. È su questa base che occorrerebbe riflettere per le ricadute concrete di tale indirizzo. Tuttavia, la formazione di norme, in sede europea, è in generale preceduta da confronti, approfondimenti in sede tecnica che poi sfociano in documenti e proposte di norme che passano all’esame e all’approvazione del cosiddetto “trilogo” (Parlamento, Commissione e Consiglio europeo). E’ nella fase preliminare che bisognerebbe incidere efficacemente. Insomma, occorre procedere con ponderazione sgomberando il campo da equivoci, spesso strumentalizzati, su di una posizione euroscettica o di contrasto che diversamente travolgerebbero gli aspetti positivi delle proposte rappresentate. 

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Il Mattino