Il picchetto d’onore con cui Conte è stato ricevuto all’Eliseo fa sempre piacere, benché sia cosa scontata. Bisogna, però, sincerarsi di...
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La stessa politica interna spiega pure Sanchez; un governo di minoranza appena insediatosi grazie a un colpo della magistratura, che per legittimarsi a sinistra si spinge in un bel gesto, dalle conseguenze forse esiziali per gli stessi socialisti: a Valencia hanno posto per 8(!) sbarcati, dovranno requisire gli hotel destinati ai turisti, l’Aquarius non è ancora arrivata e le proteste già montano. Anche il governo spagnolo ci ha criticati, ma non con la stessa durezza di Macron. Apparsa eccessiva anche a molti francesi: a denunciare lo iato tra il linguaggio moralistico del presidente e una pratica poco «umanistica» (facciamoci un giro a Ventimiglia e a Bardonecchia) sono intervenuti infatti ieri un editoriale del «Figaro» e un commento fulminante, sullo stesso giornale, della filosofa Chantal Delsol.
Ciò detto, nel decidere di recarsi comunque a Parigi, avrà prevalso in Conte la convinzione che la mediazione sia sempre meglio della rottura, e che a essere convessi si ottenga più che a esser concavi. Non sembra però sia stata una condotta totalmente pagante, a giudicare dalla conferenza stampa. Le ragioni della diffidenza, se non dell’inimicizia tra i due governi, sono infatti destinate a restare. Al di là delle buone intenzioni, di cui è lastricata la nota strada, Macron si è detto d’accordo con la proposta di hot spot in Africa. E per forza, era la sua, lanciata un anno fa e rimasta lettera morta - e vi sarebbe poi il caso della nostra missione in Niger, ancora bloccata. Sono seguite poi parole dettate da arroganza e al limite della intrusione nelle nostre decisioni sovrane: starà al nostro governo, caro Presidente, decidere se vogliamo costruire un asse privilegiato con Berlino e con Vienna. E alludere che questo asse rimanderebbe a quello tra Mussolini e Hitler non credo abbia fatto piacere né a Conte né tantomeno a Merkel. Quanto a un altro caso Aquarius, Macron ha chiarito che dovremo farcene carico noi: il minimo indispensabile che l’Italia poteva chiedere, una disponibilità futura a far approdare almeno una nave, è stata respinta sul nascere. E’ evidente che su queste basi difficilmente potremo contare sul Presidente, sia per la riforma del Trattato di Dublino che per quella della eurozona. Evidentemente i fattori strutturali di politica interna (e di politica «libica»), e il timore che un successo del governo giallo-verde possa contagiare anche la Francia sono più forti di qualsiasi altra spinta. Non ci resta che guardare verso Vienna e Berlino. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino