Perché la Francia non è un alleato affidabile

Perché la Francia non è un alleato affidabile
Il picchetto d’onore con cui Conte è stato ricevuto all’Eliseo fa sempre piacere, benché sia cosa scontata. Bisogna, però, sincerarsi di...

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Il picchetto d’onore con cui Conte è stato ricevuto all’Eliseo fa sempre piacere, benché sia cosa scontata. Bisogna, però, sincerarsi di altro. E cioè se il presidente francese, sempre inappuntabile in coreografie, dietro a queste gentilezze voglia offrire anche qualcosa di concreto all’Italia. A giudicare da ieri, diremmo di no, e anzi pensiamo che il premier sia stato eccessivamente accomodante nel mantenere l’incontro di Parigi. Scuse formali non ne sono infatti arrivate, e le dichiarazioni minimizzatrici dell’Eliseo difficilmente possono farci dimenticare che, a ad attaccarci, non è stato solo un esponente di En Marche, ma anche il governo e lo stesso presidente. La durezza insolita pure nella forma di queste critiche all’Italia, come abbiamo capito tutti, origina da problemi politici interni. Almeno tre. La maggioranza parlamentare di En Marche, spaccata tra i sostenitori della linea dura sull’immigrazione e i portatori di una visione «umanista», come dicono loro. Per accontentare i primi Macron ha impedito che l’Aquarius sbarcasse in Corsica, che pure si era offerta. Per calmare i secondi, l’Eliseo ha investito l’Italia. Il secondo problema è il consenso interno di Macron, che continua ad essere molto debole: fare sbarcare la nave avrebbe rischiato di far crescere Le Pen, l’alleata di Salvini che, nonostante le difficoltà, continua a rappresentare la principale forza di opposizione al presidente. La terza ragione dell’attacco va poi cercata negli scheletri dell’armadio della guerra in Libia voluta da Sarkozy e nell’intenzione di Parigi di essere il solo giocatore in quell’area, a discapito dell’Italia.

La stessa politica interna spiega pure Sanchez; un governo di minoranza appena insediatosi grazie a un colpo della magistratura, che per legittimarsi a sinistra si spinge in un bel gesto, dalle conseguenze forse esiziali per gli stessi socialisti: a Valencia hanno posto per 8(!) sbarcati, dovranno requisire gli hotel destinati ai turisti, l’Aquarius non è ancora arrivata e le proteste già montano. Anche il governo spagnolo ci ha criticati, ma non con la stessa durezza di Macron. Apparsa eccessiva anche a molti francesi: a denunciare lo iato tra il linguaggio moralistico del presidente e una pratica poco «umanistica» (facciamoci un giro a Ventimiglia e a Bardonecchia) sono intervenuti infatti ieri un editoriale del «Figaro» e un commento fulminante, sullo stesso giornale, della filosofa Chantal Delsol.

Ciò detto, nel decidere di recarsi comunque a Parigi, avrà prevalso in Conte la convinzione che la mediazione sia sempre meglio della rottura, e che a essere convessi si ottenga più che a esser concavi. Non sembra però sia stata una condotta totalmente pagante, a giudicare dalla conferenza stampa. Le ragioni della diffidenza, se non dell’inimicizia tra i due governi, sono infatti destinate a restare. Al di là delle buone intenzioni, di cui è lastricata la nota strada, Macron si è detto d’accordo con la proposta di hot spot in Africa. E per forza, era la sua, lanciata un anno fa e rimasta lettera morta - e vi sarebbe poi il caso della nostra missione in Niger, ancora bloccata. Sono seguite poi parole dettate da arroganza e al limite della intrusione nelle nostre decisioni sovrane: starà al nostro governo, caro Presidente, decidere se vogliamo costruire un asse privilegiato con Berlino e con Vienna. E alludere che questo asse rimanderebbe a quello tra Mussolini e Hitler non credo abbia fatto piacere né a Conte né tantomeno a Merkel. Quanto a un altro caso Aquarius, Macron ha chiarito che dovremo farcene carico noi: il minimo indispensabile che l’Italia poteva chiedere, una disponibilità futura a far approdare almeno una nave, è stata respinta sul nascere. E’ evidente che su queste basi difficilmente potremo contare sul Presidente, sia per la riforma del Trattato di Dublino che per quella della eurozona. Evidentemente i fattori strutturali di politica interna (e di politica «libica»), e il timore che un successo del governo giallo-verde possa contagiare anche la Francia sono più forti di qualsiasi altra spinta. Non ci resta che guardare verso Vienna e Berlino. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino