Perché serve un progetto per l'Italia

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Basta sfogliare in questi giorni un qualsiasi quotidiano e/o vedere un programma televisivo d’informazione – oltre alla “tumultuosa” produzione di notizie sui social - per comprendere “il buio” che verosimilmente ci attende in autunno sul fronte economico, sociale e, sembra, anche sanitario. Ma il fatto che rende tutto più inquieto sta nel sapere che questa “apprensione” viene manifestata dai membri del governo, cioè da coloro che devono provvedere a fronteggiare gli avvenimenti che coinvolgono il Paese. Infatti, il ministro della Salute Speranza è preoccupato della situazione sanitaria e, ad esempio, “blocca” l’ingresso ai residenti di alcuni Paesi extra Schengen e frena ancora sulla cosiddetta movida, la ministra dell’Interno Lamorgese comunica tutta la sua preoccupazione per il possibile aggravarsi di tensioni sociali dagli esiti imprevedibili, il ministro dell’Economia Gualtieri non legge certo con “spensieratezza” i dati sull’andamento del Pil e del saldo primario – al netto degli interessi sul debito – per il 2020 (tra meno 9,5% e 13% il primo e meno 6,8% il secondo, stimati da Bankitalia, Fmi, Commissione europea e Ocse) a tal punto che si riflette ancora su un ulteriore scostamento di bilancio da utilizzare. 


E non ci tranquillizza neanche il recupero, per quanto incoraggiante, della produzione industriale nel mese di maggio rispetto ad aprile (più 42,1%), dato che il livello era talmente sceso da non poter non esserci un “rimbalzo” (rispetto ad un anno fa siamo ancora a meno 20,3%); dal canto suo, il premier Conte sta pensando ad una proroga dell’attuale stato di emergenza. Informati di tutto ciò, i cittadini di questo Paese come “accolgono” la prefigurazione di tali scenari e soprattutto come si preparano a “conviverci”? E i decisori politici stanno interpretando correttamente i segnali che provengono dalla gente comune, con azioni conseguenti? Il Paese non ha bisogno di continui “sussulti decisionali” capaci soltanto di creare ansia e confusione, ma sente la necessità, dopo mesi di drammatiche esperienze, di ritrovare serenità e, soprattutto, un futuro meno opaco. 

Andiamo però con ordine: sul piano sanitario la curva epidemica appare ancora instabile, dato che a volte si impenna per poi discendere (non trasferendo, quindi, continuità al fenomeno) e l’indice Rt (lo ricordiamo, misura il numero medio di infezioni procurate da un soggetto infetto e se superiore ad 1 significa che i contagi si diffondono rapidamente) è, in questi giorni, superiore ad 1 in alcune regioni tra le più popolose; queste due risultanze, tra le più “ascoltate” dagli esperti, preludono ad un pericoloso ritorno della pandemia oppure la situazione è sufficientemente sotto controllo? L’incremento relativo dei nuovi contagi subisce ormai variazioni minime, non tutte nella stessa direzione (esso varia tra lo 0,06 e lo 0,1%) ed è calcolato su numerosità ridotte (intorno alle 200 unità), tali da renderne prevedibile, per il momento, l’ampiezza della dinamica evolutiva. I valori assunti da Rt, riferiti alle singole regioni, vanno interpretati ricordando che a ciascuno di essi corrisponde una probabilità di “dire il vero” sulla situazione complessiva della regione stessa; senza tenere conto di questa probabilità a fini interpretativi, si rischia di prestare più attenzione a regioni meno “sensibili” sul piano epidemico (cioè con Rt più alto, ma con probabilità più bassa e, quindi, con un livello di affidabilità inferiore rispetto ad una situazione inversa). Naturalmente gli esperti della Salute pubblica hanno ben chiara questa situazione, ovvero l’impossibilità di decidere in completa sicurezza; qui desideriamo solo rammentare che prendere decisioni, per quanto sofferte, limitanti l’affluenza in spazi collettivi, ad esempio, ha inesorabilmente effetti (negativi) sull’economia del Paese da non sottovalutare.

Le difficoltà di fare scelte razionali, efficaci e coraggiose sono ancora più evidenti nel campo socioeconomico, visti i maggiori disagi del Paese ad affrontare (ed arginare) l’emergenza economica rispetto a quella sanitaria; ad esempio, quali provvedimenti stiamo attuando per accrescere il livello di digitalizzazione del Paese (le persone con capacità digitale di base sono in Italia circa il 40%, in Europa il 60%, fonte Eurostat)? Quali per trasformare l’economia e renderla più green ed ecosostenibile (proteggiamo l’ambiente con l’1,5% del Pil contro il 2% in Europa)? Come ci stiamo “attrezzando” per diventare più competitivi (investendo in ricerca e aumentando la produttività, ferma da decenni)? Stiamo sostenendo adeguatamente le imprese per facilitarne la produzione e la creazione di lavoro? Stiamo avviando a soluzione i problemi che le nostre famiglie “incontrano” quotidianamente (da quello occupazionale a quello della disponibilità reddituale che tende a ridursi, dalla cura dei figli – a tale proposito appare adatto il provvedimento riguardante l’assegno universale che la ministra Bonetti sta portando avanti – al sostegno degli anziani e dei disabili, solo per fare degli esempi)? Insieme alle grandi riforme da realizzare in un periodo più o meno lungo (fiscale, della Giustizia, della Pubblica amministrazione, della Sanità e altre), nel frattempo, dove stiamo dirigendo la “nostra nave” dopo averne tappato numerosi buchi per impedire che affondasse? Ci lasceremo la crisi alle spalle, anche se lentamente, se saremo in grado di avviare politiche macroeconomiche efficaci, realizzando da un lato l’obiettivo di eludere che l’emergenza sanitaria possa determinare una pesante riduzione della capacità produttiva, con effetti disastrosi sull’occupazione e sulla coesione sociale e dall’altro riuscire a “miscelare” un insieme di massicci provvedimenti valido a darci una ben orientata immagine riformatrice. Si tratta di costruire un “progetto per l’Italia” che spinga il Paese verso un nuovo modello di sviluppo virtuoso, evitando in questo modo di prendere direttrici - magari comode, però inappropriate – basate su scelte “impregnate” di politica ma svincolate da valutazioni economiche, sociali e ambientali, le quali potrebbero portare il Paese su strade impervie, non in grado di vedere soddisfatti gli impellenti bisogni dei cittadini e senza convincere l’Europa della nostra volontà di cambiamento. Insomma, per dirla nella lingua della cultura, Italia quo vadis? Leggi l'articolo completo su
Il Mattino