Porto e via Marina, la grande torta: in cella boss 84enne

Porto e via Marina, la grande torta: in cella boss 84enne
Volevano trecentomila euro da un imprenditore di Posillipo impegnato nei lavori di via Marina. Una richiesta di maxitangente avanzata quando circolò la notizia che ci...

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Volevano trecentomila euro da un imprenditore di Posillipo impegnato nei lavori di via Marina. Una richiesta di maxitangente avanzata quando circolò la notizia che ci sarebbe stato un finanziamento regionale di almeno venti milioni per chiudere finalmente i cantieri della porta cittadina, del lungo tratto stradale costellato da palme costose e pericolose (puntellate alla men peggio) e da lavori mai portati a termine. È solo uno dei particolari che emerge dal blitz contro «la Svizzera» della camorra napoletana (copyright del pentito Francesco Capuozzo), quel sistema messo in piedi da Carmine Montescuro, il famigerato «zio menuzzo», da ieri in cella alla veneranda età di 84 anni. Oltre dodici episodi estorsivi ricostruiti (dalla zona della Corradini di San Giovanni, a via Marina, per non parlare del porto di Napoli), 23 soggetti in cella (i nomi nel box in pagina). Tutto ruota attorno a lui, al più longevo presunto boss della camorra cittadina, a capo della grande torta degli appalti del water front. Ma chi è l’ottantaquattrenne finito ieri in cella? Inchiesta condotta dai pm Antonella Fratello e Henry John Woodcock, sotto il coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Borrelli, decisiva un’intercettazione ambientale, oltre al racconto di decine di pentiti di vecchia e nuova generazione. In sintesi, Montescuro è «la Svizzera» della camorra napoletana. Mai coinvolto in indagini per omicidi, è stato il paciere, il mediatore, lo stratega, il neutrale. Lì, dal proprio condominio di Sant’Erasmo, metteva tutti d’accordo, anche in piena faida, bypassando su morti ammazzati e vendette incrociate: attorno al suo tavolo - spesso in pizzeria alle Case nuove - si sono seduti boss in guerra: quelli dei Mazzarella e quelli dei Rinaldi; quelli delle Case nuove e quelli di Secondigliano; e ancora i D’Amico, i Formicola, gli Altamura, gli Aprea per non parlare - una quindicina di anni fa - di Giuseppe Missi (oggi pentito) ex numero della camorra. Tutti attorno al tavolo, le mani sulla città. Ma a svelare una parte dello scempio che si è abbattuto sui lavori di via Marina, ci pensa il collaboratore di giustizia Carmine Campanile, nel corso di un verbale che risale allo scorso gennaio: «Le pretese estorsive dei clan hanno strozzato le imprese, così il cantiere non può riprendere la sua attività e le imprese se ne fuggono da via Marina». 


FUGA DA VIA MARINA

È la storia di un imprenditore di Posillipo costretto a pagare tranche da 15mila euro al mese, fino a quando poi la camorra non gli presenta una nuova estorsione: volevano 300mila euro, troppo, quanto basta a chiudere i battenti, a lasciare la caotica desolazione di via Marina. Non mancano le intercettazioni, come quella tra il veterano Carmine Montescuro e Nino Argano, a proposito di una tranche milionaria che dovrebbe essere sbloccata dalla Regione per chiudere i conti con l’eterna incompiuta di Napoli: «La Regione deve dare 20-30 milioni di euro - dice Argano a Montescuro - devono arrivare i soldi...». Fatto sta che per anni tutto è stato taglieggiato. Trentamila euro al mese finiscono nelle casse dei Montescuro, solo come attività di dogana, per consentire ai camion di entrare e uscire senza subire attacchi predatori. Soldi che vanno ai due blocchi contrapposti, ai Mazzarella e ai Rinaldi (che stanno con l’Alleanza di Secondigliano). Non sono mancate richieste estorsive nei confronti di un notaio o di uno dei leader del mondo industriale campano, secondo quanto emerge dall’ordinanza firmata dal gip Alessandra Ferrigno. Dalle intercettazioni contenute nel provvedimento emerge che Montescuro pretende 100mila euro dal professionista, proprietario di due capannoni che si trovano nella «sua» zona di competenza, e cioè in via Breccia a Sant’Erasmo. Capannoni che il notaio ha affittato ad imprese italiane e cinesi. E non è finita. Sono sempre i due soci in affari a pretendere una tangente persino da una cooperativa di ex detenuti. È il capitolo che vede coinvolta, ovviamente come parte offesa, la «Salus»: una tangente di tremila euro, corrisposti fino a quando la sede della cooperativa si trovava nel «territorio» del gruppo camorristico. Fatto sta che in una intercettazione ambientale che risale al maggio 2017, si evince che la cooperativa di ex detenuti a causa del fitto troppo alto aveva lasciato la sede di Sant’Erasmo, anche se poi ma nella zona dove si erano spostati pagavano al gruppo criminale locale un pizzo più alto. Nino Argano: «O zì, io so che pagavano (la cooperativa, ndr) assai... e adesso hanno trovato una cosa di meno...». Carmine Montescuro: «A noi pagavano 3mila euro al mese...»; Nino Argano: «Quando mai... ‘o zì, ora pagano 12mila euro al mese a Napoli. Ottomila o 12mila euro al mese...». Carmine Montescuro: «Argà, quelli (la cooperativa) stanno piangendo che vogliono tornare...». Poi ci sono i container di droga dalla Colombia che vengono tradotti fuori dal porto, grazie - si legge - alla corruzione di pubblici ufficiali. Un capito Leggi l'articolo completo su
Il Mattino