Le libertà cancellate ​da un colpo di spugna

Le libertà cancellate da un colpo di spugna
La storica decisione della Corte Suprema che annulla la sentenza Roe vs. Wade grazie alla quale le donne americane avevano conquistato, nel lontano 1973 (e fino a ieri nessuno...

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La storica decisione della Corte Suprema che annulla la sentenza Roe vs. Wade grazie alla quale le donne americane avevano conquistato, nel lontano 1973 (e fino a ieri nessuno pensava fosse tanto lontano) il diritto di abortire consente ora ai singoli Stati di legiferare liberamente in materia, e ad alcuni di essi – i più conservatori, dal Mississippi al Texas – di introdurre una legislazione proibizionista.

Nel Syllabus che prospetta la decisione (l’intero dispositivo supera le duecento pagine), la Corte afferma che la Costituzione americana non conferisce alcun diritto all’aborto. Dunque la parola torna ai singoli Stati, al popolo e ai suoi rappresentanti, cui spetta regolare la materia. Nel Syllabus si legge anche che l’idea che nell’aborto sia in gioco una libertà fondamentale della donna non è radicata nella storia né nelle tradizioni degli Stati Uniti d’America. E insiste sul punto, ed è bene leggerla tutta, questa insistenza: «Fino all’ultima parte del ventesimo secolo, non c’era alcun sostegno, nel diritto americano, alla tesi di un diritto costituzionale all’aborto». 

«Nessuno Stato aveva mai riconosciuto un simile diritto, e nessuna corte. Non c’era neppure una qualsiasi tradizione accademica al riguardo. Piuttosto, l’aborto è stato a lungo un crimine in ogni singolo Stato degli Stati Uniti d’America». Per i giudici della Corte Suprema, oggi costituita - grazie alle recenti nomine di Donald Trump - da una maggioranza fortemente conservatrice, la stagione dei diritti civili e dei movimenti di emancipazione che hanno segnato gli anni Sessanta e Settanta, in America e nel mondo, è stata dunque solo un accidente, una breve parentesi. Non radicate nella storia profonda del paese, quelle che all’epoca furono vissute come conquiste devono essere oggi cancellate, e le acque limacciose della tradizione devono richiudersi sopra di esse e inghiottirle.

Ora, può darsi che dal punto di vista geopolitico non basta, può darsi che conti altro: la forza economica o quella economica o quella tecnologica. Ma sul piano culturale e simbolico l’Occidente è questo: libertà di voto, libertà di religione, libertà della donna. Libertà conquistata limitando dapprima le prerogative dell’autorità politica, poi quelle dell’autorità confessionale, infine quella dell’autorità familiare: il padre, il maschio (e l’uomo bianco). Però la Corte Suprema ha ragione: in fondo si tratta di conquiste recenti. Oggi sappiamo che non sono solo recenti: sono anche revocabili, e che la civiltà su cui poggiano non è in fondo che una pellicola sottile sopra strati di roccia dura, che non si lasciano facilmente scalfire.

Segno dei tempi? Speriamo di no. In verità, alle magnifiche sorti e progressive abbiamo rinunciato da tempo. Abbiamo rinunciato alle filosofie della storia orientate indefettibilmente in senso progressista e ai grandi racconti della modernità. Nessun destino è segnato, nessuna vittoria è definitiva. Ma intanto, in Italia, ricordiamolo: grazie a una sentenza della Corte Costituzionale chiamata a superare il retaggio di una concezione patriarcale non in linea con la parità tra i generi, dal 1° giugno di quest’anno i nuovi nati potranno portare il cognome materno. Benché, va detto, nulla del genere si trovi nella storia o nella tradizione giuridica del nostro Paese. Che è il terribile argomento con il quale l’America fa macchina indietro. E con il quale potrebbe cancellare buona parte del lessico contemporaneo dei diritti e della libertà.

Se dunque siamo dinanzi a un segno dei tempi, il segno è la contraddizione. Per ora: fra un’America a cui l’ex presidente Trump dà voce scomodando addirittura la volontà di Dio – era da tempo che Dio non manifestava la sua volontà per bocca di un uomo politico occidentale, di cui non voglio fornire il ritratto morale e intellettuale – e un’Europa che prova ancora a definirsi (anche rispetto a quella parte di mondo che oggi chiede di farne parte) secondo parametri valoriali differenti, secondo una giurisprudenza costituzionale di stampo liberale, secondo spazi di libertà e istanze di diritto che non si lasciano schiantare dal peso della tradizione o da volontà divine maneggiate con pessimo gusto da interessi politici e personali di parte.

Ho scritto prudentemente “per ora”, perché non sono sicuro che, insieme ad altri venti che soffiano dall’Atlantico, anche questa decisione non venga sospinta e ripresa qui da noi. Bisognerà allora tornare a spiegare che l’aborto non è un omicidio, che se ogni quercia è stata una ghianda, non per questo la ghianda è una quercia, e che una legge che riconosce alla donna il diritto di interrompere la gravidanza non vuole affatto incentivare l’aborto. Anzi, proprio perché dà diritto di abortire, richiede di essere bilanciata da politiche che aiutino la donna, se vuole e crede, a non esercitarlo. Ma i giudici ultraconservatori americani se ne sono lavati le mani: i singoli Stati facciano come credano, la coperta della Costituzione non arriva fin lì, e l’aborto e il corpo della donna torni pure ad essere terreno di scontro politico. Nella ricerca a volte patetica di una rinnovata identità, forte e dura, l’Occidente rischia così di buttare via quel che più di ogni altra cosa lo distingue oggi dal resto del mondo. E questa è la più clamorosa delle contraddizioni. 

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Il Mattino