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La popolazione dei leoni marini australiani è crollata del 60% negli ultimi 40 anni. Dati allarmanti, cerificati da studi condotti sul numero dei cuccioli nati nei principali siti di riproduzione della specie. Tra le cause indicate dagli scienziati ci sono l'inquinamento delle acque, l'innalzamento dei livelli del mare e la pesca intensiva.
La ricerca è stata condotta dal South Australian Research and Development Institute e pubblicata su Endangered Species Research, portale dedicato agli studi sulle specie a rischio estinzione.
Il loro rapido declino viene definito «molto preoccupante» dagli esperti. Tra le cause più note di morte dei leoni marini australiani ci sono le reti da pesca in cui restano impigliati e le nasse per la cattura delle aragoste. L'insidia maggiore è rappresentata dalle reti poste sui fondali oceanici, battuti da queste foche per cibarsi. Il governo australiano ha varato alcune restrizioni nei confronti dei pescatori del sud e dell'ovest del Paese, dove la Neophoca cinerea ha il suo habitat, ma come riporta il Guardian è troppo presto per vederne gli eventuali effetti positivi.
Un altro problema è l'innalzamento dei mari che ha già fatto sparire alcuni siti riproduttivi di questa specie. Il leone marino, infatti, si riproduce sulla terraferma prediligendo spiagge e scogli appena sopra il livello del mare. Infine l'inquinamento: gli scienziati hanno trovato livelli anomali di mercurio ed elementi chimici tossici noti come Pfas nei tessuti dei leoni marini analizzati che potrebbero indebolire il loro sistema immunitario, rendendoli vulnerabili all'attacco dei parassiti.
Il Mattino