Autonomia, la rivolta dell'Università Federico II: «Piano egoista e cieco»

Autonomia, la rivolta dell'Università Federico II: «Piano egoista e cieco»
Il regionalismo differenziato nasce per «una pulsione egoistica che rende ciechi alle conseguenze». È un progetto che porta alla «disarticolazione del...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il regionalismo differenziato nasce per «una pulsione egoistica che rende ciechi alle conseguenze». È un progetto che porta alla «disarticolazione del welfare italiano», alla «compromissione del modello economico» e che è in «irrimediabile contrasto con il quadro costituzionale». Parole nette e pesanti quelle della Federico II, la quale scende in campo nel dibattito sull'autonomia differenziata con un documento di «fermo dissenso», netto nei toni, maturato nel corso di una giornata seminariale sul tema che si è tenuta il 29 maggio sotto la regia del direttore del dipartimento di Giurisprudenza Sandro Staiano e firmata da tutti i direttori di dipartimento e i presidenti delle scuole della Federico II, ateneo con «settecentonovantacinque anni di storia», come non si manca di sottolineare con un pizzico di civetteria.

 
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna si ricorda nel documento - hanno chiesto «forme e condizioni particolari di autonomia» ma lo hanno fatto disegnando, assieme al governo Gentiloni, «un procedimento inedito e privo di fondamento normativo, che relega il Parlamento in ruolo ratificatorio e che ha tenuto a lungo i contenuti delle intese preliminari sotto un velo di fitta opacità». Sulla scia delle tre Regioni capofila, «si sono ora rese attive anche molte altre Regioni, del Nord e del Sud». Una condizione che non tranquillizza affatto il mondo accademico, anzi. «Il percorso intrapreso - denuncia la Federico II - rivela la dirompente radicalità delle misure proposte, incentrate sul massiccio trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni del Nord, e spinto fino a coprire pressoché interamente il quadro dell'art. 117 della Costituzione, misure a sostegno delle quali non vengono addotte serie risultanze analitiche. Il disegno, assai mal celato, è quello di drenare verso i territori del Nord e verso gli apparati politico-istituzionali in essi operanti la quasi totalità delle risorse provenienti dalla fiscalità generale». Pertanto «il trasferimento delle competenze e delle funzioni e il richiamo all'efficienza nell'esercizio di queste sono rispettivamente strumento ed espediente retorico per tale scopo unico o maggiore». L'obiettivo è banalmente gestire più soldi. Siamo di fronte a «una pulsione egoistica, dunque, che rende ciechi alle conseguenze derivanti dal non certo auspicabile compimento di un simile progetto: la disarticolazione del welfare italiano, come sistema nazionale universalistico; la compromissione del modello economico, per la severa restrizione del mercato interno prodotta dal deterioramento delle condizioni del Mezzogiorno. Ma quanto proposto - prosegue il documento - è in irrimediabile contrasto con il quadro costituzionale, dal quale deriva l'obbligo di ridurre le diseguaglianze; di garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; di adempiere i doveri inderogabili di solidarietà, anche attraverso strumenti perequativi». Invece di puntare alla «composizione della frattura Nord-Sud, fattore storico di debolezza del sistema economico e del tessuto civile in Italia» si va verso la sua «cristallizzazione o aggravamento».

La denuncia della Federico II si sofferma poi sul mondo universitario, verso il quale sono in atto processi che puntano verso una sempre maggiore differenziazione con meccanismi di attribuzione premiale di risorse secondo criteri pensati per ridurre i finanziamenti destinati al sistema universitario meridionale. «Una sorta di anticipazione del regionalismo differenziato a regime». Il rischio è «l'indebolimento della scuola nelle Regioni del Mezzogiorno» per cui «ne risulterebbe irreparabilmente minata l'unitarietà del diritto allo studio, che sarebbe garantito in maniera diversa in ragione della mera residenza territoriale, con un incentivo formidabile a un turismo universitario appannaggio esclusivo delle classi economicamente avvantaggiate».


Siamo di fronte a un'utopia in negativo, non un mondo ideale ma il suo rovescio: una «distopia». Ma l'allarme accorato della Federico II ha possibilità di trovare ascolto? Qualcuna sì. Mano a mano che si squarcia il «velo di fitta opacità» sul progetto, infatti, emergono nuove criticità, delle quali sono consapevoli diversi ministri dell'esecutivo, non solo nel campo dei Cinquestelle. L'autonomia ha il vantaggio, dal punto di vista dei conti pubblici, di essere un gioco a somma zero in cui qualcuno incassa di più (il Nord) e qualcun altro cede risorse (il Sud) come del resto è accaduto in questi anni nell'applicazione delle medesime regole al sistema dei Comuni. Ma l'epoca del Mezzogiorno sistematicamente assente o silente appare alle spalle e la presa di posizione della Federico II lo conferma. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino